Con sentenza 24 gennaio 2013, n.
1748 la
Cassazione Civile ha riconfermato il principio secondo
cui devono considerarsi legittime le clausole del regolamento
condominiale di natura contrattuale che vietano gli interventi modificativi
della struttura dell’edificio.
I fatti. Nel caso in esame, i proprietari “pro
indiviso” di una unità immobiliare facente parte di un
complesso edilizio realizzato da una cooperativa, citavano in giudizio il
proprietario di una costruzione edilizia limitrofa, il quale aveva
edificato parte del proprio giardino in aderenza
all’immobile appartenente agli attori, sostenendo la violazione dell’art.
1120 cod. civ., della normativa di cui al r.d.
n. 1165 del 1938, nonché del regolamento condominiale.
Il Tribunale di Bari
accoglieva la domanda attorea, condannando il convenuto alla demolizione dell’edificazione, oltre
alle spese di lite. La Corte
d’Appello riformava la decisione impugnata ritenendo non applicabile alla
fattispecie in analisi la normativa di cui al r.d. n. 1165/1938, e non
riconoscendo una violazione del decoro
architettonico né in relazione all’art. 1120 cod. civ., né con riferimento al regolamento contrattuale
dal momento in cui erano già presenti ulteriori opere modificative
dell’estetica del complesso
residenziale, ed in ogni caso quelle oggetto di controversia ben si inserivano
nello stesso.
La decisione. La Suprema Corte , con sentenza n.
1748/2013, ha rilevato che, in ambito condominiale, il principio di autonomia
privata consente alle parti di stipulare convenzioni idonee a limitare i
diritti deicondomini sia in
relazione “alle parti comuni, sia con riguardo al contenuto del diritto
dominicale sulle parti di loro esclusiva
proprietà”. Occorre precisare che trattandosi di materia attinente alla
compressione di facoltà normalmente
connesse alle proprietà esclusive dei singoli condomini, i divieti ed i limiti
devono risultare da espressioni
incontrovertibilmente rivelatrici di un intento chiaro, non suscettibile di dar
luogo a incertezze (Cass.
Civ., 20 luglio 2009, n. 16832). Per le suddette motivazioni la Cassazione , nel caso in analisi, ha ritenuto che
le norme di un regolamento contrattuale legittimamente possono integrare o derogare alla disciplina
legale, attribuendo al concetto di decoro architettonico “una definizione più rigorosa di quella
accolta dall’articolo 1120 cod. civ.”. Così disponendo, gli Ermellini hanno
cassato la sentenza impugnata
relativamente al secondo motivo accolto.
I precedenti.In senso conforme si era
pronunciata la medesima Corte, con sentenza 6 ottobre 1999, n.11121, precisando che il “divieto
di immutazione” può essere esteso sino ad imporre la conservazione
degli elementi riguardanti la
simmetria, l’estetica e l’aspetto generale dell’edificio.
Daniela Sibilio
Fonte Agire – Agenzia
Giornalistica Real Estate
seguici su twitter: @MAUROMGSAS
seguici su twitter: @MAUROMGSAS
Nessun commento:
Posta un commento