Le modifiche introdotte dalla legge
220/2012 alla disciplina codicistica del Condominio hanno introdotto l’infausto termine
“unanimità” nel nuovo testo dell’art. 69 disp. att. cod.civ. che oggi recita “i valori proporzionali delle
singole unità immobiliari espressi nella tabella millesimale di cui all’art. 68 possono essere
rettificati o modificati all’unanimità. Possono essere rettificati, anche nell’interesse di un solo condomino,
con la maggioranza prevista dall’art. 1136 cod.civ. nei seguenti casi”m richiamando poi le due
categorie, già note, dell’errore o dei mutamenti.
Nulla dice il legislatore sulle
modalità di approvazione, limitandosi a introdurre il vituperato termine – finalmente superato da
CAss. SS.UU 18477/2010 – solo in riferimento alla rettifica o modifica che non siano dovute ad
errore o mutamenti dell’assetto delle diverse proprietà.
Sulla base di tale assunto molti
commentatori, anche assai autorevoli (Scarpa e Celeste), hannodesunto che l’unanimità fosse
necessaria anche per l’approvazione, nulla disponendo la norma e ritenendo che se è richiesta per le
modifiche non dovute ai casi tipici, per identità di ratio deve applicarsi anche alla approvazione
della tabella.
Il ragionamento non convince del
tutto, pur dovendo prendere atto che la norma – come molte di questo testo – risente di una
infelice formulazione.
L’assetto normativo in tema di
tabelle non pare mutato in maniera tanto significativa, nei suoi capisaldi, da minare radicalmente i
presupposti logici e giuridici che hanno ispirati le Sezioni Unite sopra riportate.
Sembra anzi che la natura di atto
volto alla mera ripartizione delle spese all’interno del condominio, che non riveste alcuna connotazione
di atto negoziale di accertamento, esca rafforzato dal sistema della nuova normativa che qualifica
espressamente le tabelle – convenzionali o regolamentari che siano – strumento volto alla
ripartizione delle spese, come espressamente si legge nell’ ultimo comma dell’art. 69 disp.att.
cod.civ.
La stessa previsione che possano
essere modificate a maggioranza in caso di errore o mutamento, induce a ritenere che la via– sussistendo
discrasie rispetto alla corretta proporzionalità - per ricondurle alla loro natura
originaria, ovvero la rispondenza ai criteri di cui agli artt. 1118 e 1123, passi per la delibera e non per la
convenzione, così come appare sensato ritenere passi l’originaria approvazione.
Se la natura della tabella è
consentire il riparto delle spese, come con ampiezza di argomentazioni ha ben evidenziato la Suprema Corte sopra
richiamata, non si vede per quale ragione la loro approvazione – anche alla luce della
riforma – non debba seguire il dettato dell’art. 1138 cod.civ. Certo rimane que termine unanimità,
richiamata dal novellato art. 69 disp. att. cod.civ., a cui qualche senso il legislatore deve
pur aver inteso dare.
Si può allora ritenere che il
legislatore ci stia semplicemente dicendo che, ove si sia approvata una tabella con le modalità previste
dall’art. 1138 cod.civ., con le stesse modalità si può modificare ove sussista un errore o un mutamento,
mentre se ci si vuole discostare ad libitum dai parametri di legge – posto che si tratta di norma non
inderogabile – è comunque richiesta una convenzione.
Repetita juvant, potremmo dire. O
precisazione del tutto inutile perché già conseguenza dell’intero impianto normativo e interpretativo,
come ha sottolineato autorevole dottrina (Triola). Non sembrerebbero ostare a questa
lettura neanche gli ultimi due commi dell’art. 69 disp. att. che estendono la possibilità di
revisione per errore o mutamento anche alle tabelle convenzionali (già pacificamente riconosciuta dalla
giurisprudenza) e semplificano la vita all’attore che voglia vedere rettificate le tabelle errate o
mutate quelle non più attuali – sia nel caso di tabelle convenzionali che regolamentari – attribuendo la
legittimazione passiva in capo al solo amministratore.
Massimo Ginesi
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