martedì 5 marzo 2013

MILLESIMI… MA DAVVERO UNANIMITA’?


Le modifiche introdotte dalla legge 220/2012 alla disciplina codicistica del Condominio  hanno introdotto l’infausto termine “unanimità” nel nuovo testo dell’art. 69 disp. att. cod.civ. che oggi recita “i valori proporzionali delle singole unità immobiliari espressi nella tabella millesimale di cui all’art. 68 possono essere rettificati o modificati all’unanimità. Possono essere rettificati, anche nell’interesse di un solo condomino, con la maggioranza prevista dall’art. 1136 cod.civ. nei seguenti casi”m richiamando poi le due categorie, già note, dell’errore o dei mutamenti.
Nulla dice il legislatore sulle modalità di approvazione, limitandosi a introdurre il  vituperato termine – finalmente superato da CAss. SS.UU 18477/2010 – solo in riferimento alla rettifica o modifica che non siano dovute ad errore o mutamenti dell’assetto delle diverse proprietà.
Sulla base di tale assunto molti commentatori, anche assai autorevoli (Scarpa e Celeste), hannodesunto che l’unanimità fosse necessaria anche per l’approvazione, nulla disponendo la norma e ritenendo che se è richiesta per le modifiche non dovute ai casi tipici, per identità di ratio deve applicarsi anche alla approvazione della tabella.
Il ragionamento non convince del tutto, pur dovendo prendere atto che la norma – come molte di questo testo – risente di una infelice formulazione.
L’assetto normativo in tema di tabelle non pare mutato in maniera tanto significativa, nei suoi capisaldi, da minare radicalmente i presupposti logici e giuridici che hanno ispirati le Sezioni Unite sopra riportate.
Sembra anzi che la natura di atto volto alla mera ripartizione delle spese all’interno del condominio, che non riveste alcuna connotazione di atto negoziale di accertamento, esca rafforzato dal sistema della nuova normativa che qualifica espressamente le tabelle – convenzionali o regolamentari che siano – strumento volto alla ripartizione delle spese, come espressamente si legge nell’ ultimo comma dell’art. 69 disp.att. cod.civ.
La stessa previsione che possano essere modificate a maggioranza in caso di errore o mutamento, induce a ritenere che la via– sussistendo discrasie rispetto alla corretta proporzionalità - per ricondurle alla loro natura originaria, ovvero la rispondenza ai criteri di cui agli artt. 1118 e 1123, passi per la delibera e non per la convenzione, così come appare sensato ritenere passi l’originaria approvazione.
Se la natura della tabella è consentire il riparto delle spese, come con ampiezza di argomentazioni ha ben evidenziato la Suprema Corte sopra richiamata, non si vede per quale ragione la loro approvazione – anche alla luce della riforma – non debba seguire il dettato dell’art. 1138 cod.civ. Certo rimane que termine unanimità, richiamata dal novellato art. 69 disp. att. cod.civ., a cui qualche senso il legislatore deve pur aver inteso dare.
Si può allora ritenere che il legislatore ci stia semplicemente dicendo che, ove si sia approvata una tabella con le modalità previste dall’art. 1138 cod.civ., con le stesse modalità si può modificare ove sussista un errore o un mutamento, mentre se ci si vuole discostare ad libitum dai parametri di legge – posto che si tratta di norma non inderogabile – è comunque richiesta una convenzione.
Repetita juvant, potremmo dire. O precisazione del tutto inutile perché già conseguenza dell’intero impianto normativo e interpretativo, come ha sottolineato autorevole dottrina (Triola). Non sembrerebbero ostare a questa lettura neanche gli ultimi due commi dell’art. 69 disp. att. che estendono la possibilità di revisione per errore o mutamento anche alle tabelle convenzionali (già pacificamente riconosciuta dalla giurisprudenza) e semplificano la vita all’attore che voglia vedere rettificate le tabelle errate o mutate quelle non più attuali – sia nel caso di tabelle convenzionali che regolamentari – attribuendo la legittimazione passiva in capo al solo amministratore.

Massimo Ginesi

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