mercoledì 28 novembre 2012

Abbattimento barriere architettoniche in condominio


La situazione è la seguente: all’ingresso del condominio, per accedere al portone comune, è presente un gradino alto circa 20 cm. Uno dei condomini, riconosciuto invalido all’80%, purtroppo non è in grado di salire e scendere il gradino e più volte è caduto proprio in questo punto. Chiede dunque all’Assemblea condominiale il permesso di modificarlo, così da poter entrare ed uscire dall’edificio senza preoccupazioni ed in modo più agevole. La modifica viene negata dall’Assemblea per non deturpare l’estetica del condominio, che, viene specificato dal richiedente, non possiede caratteristiche storiche o di particolare pregio. La persona in difficoltà domanda allora se è possibile risolvere il problema in modo legale, imponendo il lavoro anche ai condòmini contrari, e, in caso di opere, chiede anche se ha diritto a qualche agevolazione fiscale.
Normativa sulle barriere architettoniche in condominio
Le opere mirate al superamento delle barriere architettoniche sono soggette a deliberazione condominiale. Il legislatore, per favorirne la realizzazione, ne ha abbassato il quorum per l’approvazione ed in caso di delibera la spesa dell’intervento su parti comuni viene ripartita in base ai millesimi di proprietà, così come previsto dal Codice Civile. In tal caso la spesa ricadrebbe anche su coloro che hanno espresso parere negativo.
Fortunatamente l’art.2 della Legge 13 del 9 gennaio 1989 tutela il disabile in situazioni di completo disinteresse da parte del condominio. L'articolo citato prevede che, qualora il condominio rifiuti di assumere, o non assuma entro tre mesi dalla richiesta fatta per iscritto, tale deliberazione, il disabile possa installare, a proprie speseservoscala o strutture mobili e facilmente rimovibili. La ratio della legge è permettere ai disabili di accedere a qualsiasi edificio per svolgere tutte le funzioni proprie della loro vita cercando di eliminare qualsiasi genere di discriminazione. Infatti la possibilità di accesso allo stabile da parte di chiunque travalica il diritto di proprietà. 
D’altro canto la legge si interseca anche con la normativa sul condominio e pertanto sulle parti comuni viene consentito un intervento limitato (strutture mobili o facilmente rimovibili), in modo da non ledere il diritto di proprietà degli altri condomini, che è sancito dalla Costituzione.
A causa dell’accollamento totale delle spese da parte del disabile, talvolta l’articolo citato non viene sfruttato come si spererebbe. Infatti, nonostante la possibilità di accedere ad agevolazioni fiscali e ad un’aliquota IVA ridotta, può capitare che qualcuno sia costretto a rinunciare all’intervento proprio per ragioni di carattere economico. Questi casi rendono purtroppo la legge insufficiente.
Soluzione del caso specifico presentatosi in condominio
In virtù delle considerazioni fatte, nella situazione in esame, dopo aver avuto parere negativo dall’Assemblea condominiale, ritengo sia facoltà della persona invalida intervenire  accollandosi tutte le spese. E’ tuttavia necessario, per rispettare la legge, che la modifica apportata sia una struttura mobile o facilmente rimovibile
Bisogna dunque fare attenzione a non modificare irreversibilmente il gradino esistente. Meglio invece applicarvi una struttura di carattere più temporaneo, come ad esempio una rampa in legno ben ancorata o qualsiasi altra struttura idonea. Per capire quale sia la soluzione migliore bisognerebbe vedere la situazione nello specifico. 
Detrazioni fiscali per l'eliminazione delle barriere architettoniche in condominio L’intervento in esame può usufruire della detrazione fiscale per le ristrutturazioni edilizie (il 50% per intenderci). Infatti questa detrazione fa rientrare nelle opere agevolabili anche quelle mirate all’abbattimento delle barriere architettoniche. L’unica condizione è che l’intervento risulti conforme alle prescrizioni tecniche previste dalla legge. Ciò significa che l’eventuale rampa in legno (o altra struttura che un tecnico competente sarà in grado di suggerire) dovrà rispettare tutti i requisiti per essere utilizzata da un disabile. Una volta effettuato l’intervento, per accedere alla detrazione fiscale bisognerà pagare la fattura con apposito bonifico bancario (da richiedere allo sportello della banca) e successivamente conservare la fattura e la  ricevuta di pagamento, oltre che eventuali permessi comunali comunicazione ASL quando necessari.
I documenti relativi ai pagamenti (fattura e ricevuta del bonifico) dovranno poi essere  consegnati al commercialista, che provvederà a tutti gli adempimenti per la detrazione fiscale in sede di dichiarazione dei redditi. Successivamente i documenti andranno riconsegnati al proprietario in modo da averli a disposizione, insieme agli altri, ed esibirli in occasione di eventuali controlli dell’Agenzia delle Entrate.
Arch. Sara Martinelli www.lavorincasa.it

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martedì 27 novembre 2012

Tubi non sigillati e conseguenti perdite d’acqua, il condominio non paga l’appaltatore


Se l’opera eseguita dall’appaltatore presenta vizi e difformità, è sufficiente che il committente eccepisca tali vizi, non essendo tenuto a domandare la risoluzione del contratto. Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza 18091/12.
Un condominio incarica una società per l’esecuzione di lavori risanamento della fognatura condominiale. In seguito, però, l’officina meccanica sita nel seminterrato dell’immobile ottiene dalla società appaltatrice – terza chiamata nel giudizio di primo grado – una somma a titolo di risarcimento, per i danni subiti in conseguenza delle infiltrazioni nel seminterrato di acque di scarico provenienti dalla tubazioni condominiali. Viene, invece, rigettata la domanda proposta dalla società , che chiedeva il pagamento da parte del condominio del saldo della somma dovuta per i lavori eseguiti. La Corte d’appello, adita dalla società, stabilisce poi che il  condominio in effetti sia debitore del corrispettivo non ancora versato per le opere prestate dall’appaltatrice. Opposizione al pagamento: quale domanda? Nel ricorso per cassazione risolto dalla sentenza in commento il condominio lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 5 del codice di rito, formulando il seguente quesito: l’opposizione alla domanda di pagamento del prezzo dell’appalto deve essere necessariamente sostenuta da  una domanda di risoluzione del contratto oppure è sufficiente esperire una domanda di garanzia dei vizi?
Eccepire il vizio è sufficiente. La Suprema Corte, che accoglie il ricorso, censura la sentenza impugnata che non aveva tenuto conto - nel decidere sull’entità del corrispettivo dovuto per l’esecuzione dei lavori – dell’eccezione proposta dal condominio, ossia la responsabilità per inadempimento dell’appaltatore.
Risulta, infatti, che la società nell’eseguire i lavori aveva omesso di sigillare le tubazioni. In simili casi il committente, prosegue il Collegio, può «al fine di paralizzare la pretesa avversaria, opporre in via di eccezione le difformità e i vizi dell’opera», senza che sia necessaria la proposizione, in via riconvenzionale, di una domanda di risoluzione.
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lunedì 26 novembre 2012

L’amministratore di condominio e il verbale di conciliazione


Premesso che non esiste ancora un orientamento giurisprudenziale univoco o comunque maggioritario, si condivide la tesi secondo cui il verbale di conciliazione sia un atto affine a un negozio transattivo qualificato; il nostro ordinamento, infatti, attribuisce al verbale di conciliazione una efficacia esecutiva, seppure condizionata all’omologazione giudiziale, che invece la comune transazione, prevista dall’art. 1965 c.c., non possiede. Affinché sussista però l’impegno del condominio, è necessario che l’amministratore, oltre a ricevere l’autorizzazione a stare in mediazione, ottenga da parte dell’assemblea di condominio anche l’approvazione sul contenuto dell’accordo.
Da ciò discende che, solo dopo aver ricevuto l’approvazione da parte dell’assemblea, l’amministratore potrà sottoscrivere il verbale di conciliazione con effetti vincolanti per il condominio. 
Secondo quanto statuito dalla Suprema Corte a Sezioni Unite nella sentenza n. 4806 del 7 marzo 2005, la delibera assembleare dovrà seguire gli ordinari criteri di maggioranza, ad eccezione del caso in cui l’accordo abbia ad oggetto un atto dispositivo delle parti comuni del condominio; in quest’ultima ipotesi, infatti, l’accordo dovrà essere approvato dall’assemblea all’unanimità, a pena di nullità della delibera e dell’accordo concluso in forza di essa.
Non pochi problemi sorgono quando la delibera assembleare risulti viziata.
Ci si deve chiedere cosa accada nel caso in cui la delibera sia nulla ossia quando abbia: 
1)Un oggetto impossibile o illecito
2)Quando non è di competenza dell’assemblea
3) Quando incide sui diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ciascuno dei condomini
4) Quando è invalida in relazione all’oggetto. Orbene, in tutti i casi di nullità della delibera seguirà la nullità anche del verbale di conciliazione. Se, invece, la delibera è annullabile, come nel caso in cui sia viziata nel quorum costitutivo o deliberativo, o per esempio per la mancata convocazione di uno o più condomini si potranno verificare due possibilità: 
a) l’annullamento dovrà essere richiesto entro il termine di decadenza di trenta giorni (che  decorrono dalla data della delibera per i dissenzienti e dalla data di comunicazione per gli assenti) previsto dall’art. 1137 c.c.. La conseguenza è che, se non tempestivamente  impugnata, la delibera dell’assemblea acquisterà efficacia definitiva e di conseguenza il verbale di conciliazione, nel frattempo sottoscritto dall’amministratore di condominio sulla base
dell’autorizzazione scaturente dalla delibera dell’assemblea viziata, ma sanata per effetto della mancata opposizione, non sarà inficiato;
b) se l’impugnazione è stata proposta, l’amministratore avrà il compito di decidere se dare in ogni caso attuazione alla volontà del condominio, sottoscrivendo il verbale di conciliazione e  sopportando il rischio di annullamento della delibera che l’abbia a tanto autorizzato, oppure  non firmarlo attendendo l’esito del giudizio di opposizione (che sarà preceduto a sua volta dal tentativo di conciliazione), esponendo così il condominio, nel caso in cui quest’ultima venga respinta, ai rischi di un accordo non concluso o, comunque, non tempestivamente concluso.
In entrambi i casi la scelta che l’amministratore di condominio è chiamato a fare non è affatto agevole e potrebbe essere per lo stesso fonte di responsabilità. 
Opportuno sarebbe, pertanto, in tali situazioni che, l’amministratore per cautelarsi, rimetta la decisione all’assemblea del condominio.

Avv. Maria Teresa Del Luca www.studiolegali.it

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venerdì 23 novembre 2012

Detrazioni, sconti del 50% anche per l'antifurto di casa


Se in casa c’è bisogno di cambiare le finestre i riparare il citofono, è sicuramente questo  l’anno giusto per farlo. Chi ha ristrutturato o ristrutturerà il proprio immobile o le parti comuni di un condominio dal 26 giugno 2012 al 30 giugno 2013 pagherà infatti soltanto la metà del relativo costo, scontando il resto dalle tasse. Il decreto legge n. 83/2012 – cosiddetto “decreto sviluppo” –, approvato dal governo lo scorso giugno, ha infatti elevato l’aliquota prevista per il bonus fiscale dal 36% al 50%. La vera novità del “decreto sviluppo” è però il bonus sugli interventi riguardanti gli impianti elettrici, per i quali non era mai stata riconosciuta  un’agevolazione fiscale.
Fino a 96.000 euro da detrarre per ciascun condomino
Non è finita. Nello stesso provvedimento viene raddoppiato – da 48.000 a 96.000 euro – l’ammontare complessivo delle spese detraibili per ciascuna unità immobiliare. Se l’intervento di ristrutturazione riguarda le parti condominiali, ciascun condomino potrà beneficiare del tetto massimo di spesa: l’importo di 96.000 euro, pertanto, non andrà ripartito.
Non solo per i proprietari
Il bonus fiscale del 50% non è riservato solo ai proprietari di immobili, ma può essere utilizzato da tutti i contribuenti assoggettati a Irpef: proprietari ma anche inquilini o i titolari di un diritto reale di godimento (usufrutto, uso, abitazione o superficie).
Cosa scaricare: dai materiali all'Iva
Oltre alle spese strettamente necessarie per l’esecuzione dei lavori, si potranno detrarre le spese di progettazione, quelle per le altre prestazioni professionali connesse, per l’acquisto dei materiali, l’Iva.
Lavori all’impianto elettrico, ecco quelli detraibili
Quanto agli interventi sull’impianto elettrico, a questo proposito l’Agenzia delle Entrate ha fornito un elenco delle opere coperte dal bonus sulle singole unità abitative.
Si va dagli interventi generali di messa in regola degli impianti elettrici (come da decreto ministeriale 37/2008), a quelli di riparazione di impianti insicuri; dai sistemi antifurto alla cablatura degli edifici; dalla sostituzione o installazione di citofoni e telecamere, alle opere finalizzate al risparmio energetico; dalla sostituzione o riparazione di interruttori differenziali all’installazione di apparecchi di rilevazione gas. Potranno essere “scaricati” anche i lavori per l’installazione di sistemi di comunicazione e robotica per favorire la mobilità dei disabili. Relativamente alle parti condominiali, invece, le opere coperte dal bonus sono la riparazione – senza innovazioni dell’impianto o con sostituzione di alcuni elementi – di allarme e di  interruttori differenziali.
Le istruzioni
Come procedere, allora? Il 50% del costo per le ristrutturazioni edilizie effettuate può essere detratto dall’Irpef in 10 quote annuali costanti; non è ammesso, ovviamente, il rimborso di somme eccedenti l’imposta dovuta. Nella dichiarazione dei redditi il proprietario dell’immobile dovrà indicare i dati catastali identificativi dell’immobile oggetto della ristrutturazione  fiscalmente agevolata. Se chi effettua i lavori è l’inquilino o l’usufruttuario dell’immobile, dovrà invece inserire anche gli estremi di registrazione dell’atto o del contratto in base al quale l’immobile è detenuto.
I pagamenti e il bonifico “parlante”
I pagamenti, infine. Per portare in detrazione le somme,  dovranno essere effettuati con bonifico bancario o postale “parlante”, dal quale dovranno risultare: causale di  versamento (con riferimento all’art. 16-bis del TUIR); codici fiscali di chi paga e del beneficiario. Al  momento del pagamento, la banca o la posta opera una ritenuta d’acconto nella misura del 4% sull’imposta dovuta dall’impresa che effettua i lavori.
Emanuela Susmel www.ilsalvagente.it

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mercoledì 21 novembre 2012

L’appartamento destinato a portineria rimane soggetto al contenuto del contratto originario


La pattuizione contrattuale che assegna, in favore del condominio, una determinata destinazione all’alloggio del portiere rappresenta un ostacolo superabile solo dalla volontà delle parti. Lo ha affermato la Cassazione con la sentenza 18501/12.
Gli acquirenti di un immobile chiedono al Tribunale la di dichiarazione di finita locazione di un immobile che, acquistato con destinazione a portineria, in realtà non era mai stato adibito a tale uso ma utilizzato dal condominio come deposito. Entrambi i giudizi di merito non hanno buon esito e i proprietari ricorrono per cassazione.
Vincolo, obbligazione … I ricorrenti sostengono che il giudice d’appello avrebbe dovuto, tenuto conto dell’eccezione di estinzione del vincolo di destinazione per non uso promossa in quella sede, superare il dato probatorio offerto dal condominio, ossia l’atto di compravendita dal quale risultava la destinazione.
La Cassazione rigetta il ricorso, confermando che non vi è motivo di ritenere che si sia voluto costituire «una servitù o un diritto reale di uso ex art. 1021 c.c. in favore del condominio, ma solo una obbligazione propter rem» non ancora estinta. Infatti, tale vincolo risulta stabilito dalle parti in forza della pattuizione contrattuale (compravendita) in favore del condominio. Quanto alla prova del mantenimento da parte del condominio del vincolo appena descritto, la Suprema Corte respinge le argomentazioni proposte dal ricorrente, stabilendo che – oltre al rilievo ‘pattizio’ – occorre tener conto anche delle attendibili deposizioni testimoniali.
Riguardo all’asserita presenza di un simile errore di diritto il Collegio afferma che «in presenza di una obbligazione propter rem il c.d. corrispettivo è irrilevante la fine di escludere la sussistenza di una tale obbligazione che costituisce, comunque, un vincolo di destinazione al bene ed è insensibile, pertanto, ad ogni connotazione economica».
 In sostanza, ciò che conta è la caratterizzazione giuridica del bene stesso, la cui evoluzione muta per il volere delle parti, che nel caso di specie non comprende una modificazione del vincolo di destinazione.
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martedì 20 novembre 2012

Non si rilascia il titolo edilizio senza il consenso del condominio


È quanto ha stabilito il Consiglio di Stato con la sentenza del 28 settembre 2012 n. 5128, quando il titolo richiesto riguarda l’uso di un bene comune. I giudici di Palazzo Spada hanno ritenuto irrilevante la circostanza che l’intervento servisse a migliorare l’illuminazione dell’unità immobiliare dei richiedenti. La vicenda inizia con la richiesta di titolo edilizio per la realizzazione di un abbaino al piano secondo (sottotetto) dell’edificio condominiale, di pertinenza dell’appartamento di proprietà del ricorrente, al fine di aumentare l’illuminazione del locale-soggiorno la cui finestra era parzialmente coperta dall’ala del tetto dell’edificio.
Motivazione del diniego
Il comune ha rigettato la domanda di titolo abilitativo con la motivazione della mancanza del consenso scritto del condominio, sul presupposto della natura di parte comune del tetto interessato dall’opera e dell’utilizzo di una parte della cubatura urbanistica residua dell’edificio condominiale, nonché della necessità di integrare la documentazione con una verifica analitica e grafica sulla cubatura ammissibile sul lotto e di evidenziare, nella parte planimetrica, le istanze dai confini e dagli edifici.
Parte interessata dall’intervento
Nel caso in esame, l’opera in contestazione era destinata a incidere sulla parte comune costituita dal tetto dell’edificio condominiale, non solo in senso materiale ma, eventualmente, anche sotto il profilo del decoro architettonico. L’opera deve qualificarsi come innovazione voluttuaria – e non necessaria – per rendere più comodo il godimento dell’immobile.
La medesima, al contempo, deve ritenersi idonea ad imprimere alla cosa comune una destinazione anche ad uso esclusivo del suo appartamento.
Decoro architettonico
Le opinioni costanti della giurisprudenza civilistica ed amministrativa risulta alquanto contrastanti e spesso ridimensionano il concetto di decoro architettonico.
Determinazione del Consiglio di Stato
Il Consiglio di Stato ha ritenuto che in sede di rilascio del titolo abilitativo edilizio sussiste l’obbligo per il comune di verificare il rispetto da parte dell’istante dei limiti privatistici, a condizione che tali limiti siano effettivamente conosciuti o immediatamente conoscibili o non contestati, di modo che il controllo da parte dell’ente locale si traduca in una semplice presa d’atto dei limiti medesimi senza necessità di procedere ad un esame accurato dei rapporti civilistici preesistenti. In conclusione, il Consiglio di Stato si è pronunciato in via definitiva sul ricorso proposta dai ricorrenti e lo ha respinto per le motivazioni suesposte
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lunedì 19 novembre 2012

Danni da infiltrazioni, risponde il condominio


Se i danni lamentati dal singolo condomino sui beni di proprietà esclusiva derivano da difettosa realizzazione delle parti comuni dell'edificio, nei confronti del condomino è responsabile – in via autonoma in base all'articolo 2051 del Codice civile – il condominio.
Quest'ultimo, infatti, come custode, deve eliminare le caratteristiche lesive insite nella cosa propria.
Lo ha ribadito la Cassazione che, con la sentenza 17268/2012, ha affrontato il caso di due coniugi che, per le infiltrazioni d'acqua nella loro cantina, avevano chiesto al tribunale la  condanna del condominio a eseguire le opere necessarie per eliminare gli inconvenienti e a risarcire i danni. La domanda del condomino, respinta dal tribunale, è stata invece accolta dalla Corte d'appello, che ha condannato il condominio a eseguire le opere descritte nella consulenza tecnica d'ufficio. La Corte ha infatti evidenziato che, pur avendo la Ctu appurato che a generare il danno erano stati i vizi di progettazione e di esecuzione imputabili al costruttore, doveva comunque essere ravvisata la responsabilità del condominio in base all'articolo 2051 del Codice civile: il danno era stato causato non da un comportamento del custode, ma dalla cosa in custodia; e la responsabilità era superabile solo dalla prova  liberatoria del superamento della presunzione di colpa o del caso fortuito.
La Cassazione, a sua volta, nel respingere il ricorso del condominio, ha precisato che se il fenomeno dannoso lamentato dal singolo condomino sui beni di proprietà esclusiva è originato da difettosa realizzazione delle parti comuni dell'edificio (nella specie precaria situazione della muratura perimetrale adiacente il giardino condominiale e dei pozzetti), nei confronti di questi è responsabile, in via autonoma, il condominio, che è tenuto, quale custode, a eliminare le caratteristiche lesive insite nella cosa propria.
Non si tratta di una responsabilità a titolo derivativo: il condominio, pur successore a titolo particolare del costruttore-venditore, non subentra nella sua personale responsabilità, legata alla sua attività e fondata sull'articolo 1669 del Codice civile. Ma si tratta di autonoma fonte di responsabilità in base all'articolo 2051 del Codice civile, che non preclude, però, al  condominio la possibilità di agire nei confronti della società costruttrice in base all'articolo 1669 del Codice civile se sussistano i presupposti.
Luana Tagliolini www.ilsole24ore.com

venerdì 16 novembre 2012

Perché il condominio dev’essere ritenuto responsabile dei gravi difetti dell’immobile imputabili al costruttore


Se l’immobile presenta gravi difetti di costruzione, il giudice può condannare il condominio indipendentemente dalla colpa nella causazione dei danni provocati dai difetti, per il sol fatto d’essere proprietario delle parti comuni. Questa in sostanza la decisione della Corte di  Cassazione resa con la sentenza n. 17268 dello scorso 10 ottobre. Il grimaldello per arrivare a questa pronuncia, tra l’altro figlia di un consolidato orientamento, è l’art. 2051 c.c., vale a dire quello che disciplina la responsabilità per danni da cose in custodia, che recita Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito.
Si tratta di una ipotesi, è la giurisprudenza a parlare, di responsabilità oggettiva. In sostanza, si legge in una sentenza del Tribunale di Bari, “ la responsabilità del custode richiede che l'evento sia stato cagionato dalla cosa medesima per sua intrinseca natura ovvero per l'insorgenza in essa di agenti dannosi (Cass. 28.3.01, n. 4480; 1°.6.95, n. 6125; 10.11.93, n. 11091): nell'effettuare tale valutazione non si deve distinguere tra cose intrinsecamente pericolose e cose suscettibili di divenire tali in forza di altri fattori causali, poiché l'art. 2051 c.c. - a differenza dell'art. 2043 c.c., il quale impone a chiunque un dovere generale di astensione dal compimento di atti che possano provocare danni a terzi - pone a carico di un soggetto ben individuato uno specifico obbligo di attivarsi affinché dal bene affidato alla sua custodia non derivino danni a terzi ed è inoltre necessario, per potere pervenire all'accertamento della responsabilità del custode, che il danneggiato dimostri che l'evento si sia prodotto come conseguenza normale della particolare condizione potenzialmente lesiva, originariamente posseduta o successivamente assunta dalla cosa (Cass. 7276 10015/06; 11264/95). […]” (Trib. Bari 10 maggio 2012). 
In questo contesto, per la Cassazione non vi sono dubbi che il condominio, quale custode dei beni, e solo per questo motivo, risponda anche dei gravi difetti delle parti comuni astrattamente ascrivibili al cattivo lavoro del costruttore. Nella sentenza citata in principio, infatti, si legge che “ si è correttamente attenuta al consolidato principio affermato da questa corte secondo cui qualora il fenomeno dannoso lamentato dal singolo condomino sui beni di proprietà esclusiva sia originato da difettosa realizzazione delle parti comuni dell'edificio (nella specie precaria situazione della muratura perimetrale adiacente il giardino  condominiale e dei pozzetti), nei confronti di questi è responsabile, in via autonoma ex art. 2051 c.civ., il Condominio, che è tenuto, quale custode, ad eliminare le caratteristiche lesive insite nella cosa propria (cfr. Cass. 12 luglio 2011 n. 15291; Cass. 15 aprile 1999 n. 3753; Cass. 21 giugno 1993 n. 6856; Cass. 25 marzo 1991 n. 3209; Cass. 9 maggio 1988 n.3405). Non si tratta di una responsabilità a titolo derivativo (il Condominio, pur successore a titolo  particolare del costruttore venditore, non subentra nella sua personale responsabilità, legata alla sua specifica attività e fondata sull'art. 1669 c.civ.), bensì di autonoma fonte di responsabilità ex art. 2051 c.civ. (cfr. Cass. 6856/93, cit.)(Cass. 10 ottobre 2012, n. 17268).
Alessandro Gallucci www.condominioweb.it

mercoledì 14 novembre 2012

Sottotetto a uso esclusivo


Gli spazi sotto il tetto di copertura di un edificio in condominio non sono per ora inclusi dalla legge tra i beni comuni in quanto non sempre costituiscono incondizionatamente oggetto di comunione tra tutti i condomini. Lo saranno invece se l'attuale disegno di legge di riforma delle disciplina del condominio all'esame del Senato approverà quello già passato alla Camera, che appunto espressamente li include tra le parti comuni se destinati, per le loro caratteristiche  strutturali e funzionali, all'uso condiviso.
Per il vero è già da parecchio tempo che i giudici avevano affermato il principio per cui la  natura del sottotetto si determina in base al titolo o al regolamento e solo in mancanza di  qualsivoglia indicazione può ritenersi comune se esso risulti in concreto, oggettivamente destinato anche solo in via potenziale all'uso comune o all'esercizio di un servizio comune (Cassazione 18091/02).
Anche di recente la Suprema Corte ha precisato che se il titolo di acquisto non dispone  diversamente, il sottotetto è di proprietà comune quando le sue dimensioni e le sue caratteristiche, per altezza e per praticabilità, sono tali da consentirne una utilizzazione da  parte di tutti i condomini come vano autonomo, vuoi per l'esercizio di una attività comune oppure per rendere un servizio di interesse di tutti i condomini, quale può essere uno stenditoio o un deposito. Non si deve fare riferimento all'uso effettivo e attuale che viene fatto del sottotetto, bensì a quello potenziale (Cassazione 7096/11).
Deve invece considerarsi di proprietà esclusiva dell'appartamento dell'ultimo piano quando è formato da un vano destinato solo a servire da protezione a questi, costituendone pertinenza. È il tipico caso del sottotetto con la pavimentazione formata da tavolati di legno, con altezza minima e privo di prese d'aria. Lo stesso vale per spazi magari più alti, ma senza alcun ingresso dalle parti comuni, ai quali è possibile accedere solo dai sottostanti appartamenti. Se così conformato, il sottotetto è di proprietà esclusiva dei condomini delle unità site all'ultimo piano. Non sorge invece problema quando il sottotetto è incluso tra i beni che hanno formato oggetto di vendita in favore di qualche condomino: basterà solo accertare che la cessione a un condomino del sottotetto sia compatibile con quanto previsto nei rogiti degli altri condomini. Uguale ragionamento vale se il regolamento di condominio allegato ai singoli rogiti prevede anche il sottotetto tra le parti comuni.
Nel dubbio, occorre fare riferimento all'atto costitutivo del condominio e quindi al primo atto di trasferimento di una unità immobiliare. Le incertezze sorgono quando nessun atto parla dei sottotetti. Le vigenti leggi urbanistiche regionali hanno facilitato la trasformazione del sottotetto in locale abitabile, intervento comunque possibile solo in assenza di particolari limiti contenuti nel regolamento. I giudici sono andati anche oltre, consentendo di effettuare la trasformazione di una parte del tetto dell'edificio in terrazza ad uso esclusivo, a condizione che sia salvaguardata con opere adeguate la funzione di copertura svolta dal tetto preesistente  (Cassazione 14107/12): si afferma quindi la possibilità per il condomino di appropriarsi in via esclusiva di una porzione di bene comune, facendone un uso legittimo ai sensi dell'art. 1102 Cod.Civ. Il divieto di alterare la destinazione del bene comune non può infatti essere inteso nel senso  della immodificabilità della cosa nella sua consistenza materiale, ma va valutato in relazione alla funzione del bene. E così, la soppressione di una piccola porzione di tetto in favore di una terrazza ad uso esclusivo di un condomino che in tal modo ne trae un uso più inteso, non  costituisce sempre e in ogni caso opera illegittima. Se la modifica apportata al tetto non è significativa, la sua trasformazione in terrazza non necessita nemmeno del preventivo  consenso da parte dell'assemblea, sebbene regole di buona convivenza impongono di almeno renderla edotta dell'intervento.
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lunedì 12 novembre 2012

Disturba solo i vicini di casa? Nessun reato


Un numero indeterminato di persone al di fuori del condominio. Ecco cosa fa scattare il reato di disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone. I rumori molesti che infastidiscono solo i condomini, invece, non sono penalmente rilevanti.
Vicini di casa rumorosi. Sbattono la porta dell’appartamento, quella dell’ingresso condominiale, urlano per le scale e sbattono tavoli e sedie sul pavimento. Rumori molesti, insomma che, però, non configurano nessun reato se non disturbano la quiete pubblica di «un numero indeterminato di persone» al di fuori del palazzo. Così ha deciso la Cassazione con la sentenza 25225/12. Il caso. 3 persone dello stesso nucleo familiare vengono condannate per il reato di disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone (art. 659 c.p.). A far scattare l’azione penale ci hanno pensato 5 condomini e l’amministrato La famiglia, con i troppi rumori molesti - fuori e dentro il proprio appartamento – cagiona disturbo agli altri condomini.
È la quiete pubblica che viene tutelata. Ma la faccenda non finisce qui. Infatti, i 3 si rivolgono alla Corte di Cassazione affermando che «il disturbo da essi arrecato era rimasto circoscritto all’interno delle mura condominiali, sì da non essere idoneo ad arrecare danno ad una generalità indistinta di persone».
Niente di più corretto, almeno secondo i Giudici di legittimità, il quale precisano che l’elemento della contravvenzione contestata è «l’idoneità del fatto ad arrecare disturbo ad un numero indeterminato di persone» e, nel caso di specie, tale requisito manca. Pertanto, la sentenza impugnata viene annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.



Dichiarazione Imu verso un nuovo slittamento. Il Parlamento punta alla proroga a febbraio


Sempre più avanti. La scadenza per la dichiarazione Imu potrebbe guadagnare quasi tre mesi in più e quindi a febbraio 2013. È l'effetto dell'emendamento proposto da Giuseppe Marinello (Pdl) e approvato in commissione Bilancio alla Camera al decreto sui tagli nei costi della politica nelle regioni. L'attuale termine per la presentazione della dichiarazione, che è bene ricordalo riguarda solo alcune categorie di proprietari di immobili, è il prossimo 30 novembre. L'emendamento Marinello punta, invece, a spostarla a novanta giorni dalla pubblicazione del modello e delle istruzioni del ministero dell'Economia in Gazzetta Ufficiale. Ed è da questo aspetto che potrebbe dipendere l'estensione della prororoga. Al momento, però, non sono stati ancora pubblicati in Gazzetta Ufficiale. Attenzione perché dalla formulazione dell'emendamento i 90 giorni scatterebbero dall'entrata in vigore. Che cosa vuol dire? A conti fatti - se l'emendamento dovesse superare lo scoglio dell'esame dell'Aula alla Camera e poi quello del Senato - si potrebbe ipotizzare una proroga almeno a metà se non addirittura alla fine di febbraio 2013.
La prima proroga
Una dichiarazione senza pace. ll termine originario per la presentazione era stato fissato allo scorso 30 settembre (il termine sarebbe slittato al 1° ottobre perché il 30 settembre era domenica) dal decreto sulle semplificazioni fiscali di primavera (Dl 16/2012). Solo che la versione ufficiale e definitiva del decreto e del modello non sono state pubblicate. Quindi si è resa necessaria una proroga che il decreto legge sulle Regioni ha fissato al 30 novembre 2012.
Evidentemente il Parlamento ha ritenuto (o sta ritenendo) che non fosse necessario proprio in considerazione del fatto che il modello finale è stato reso noto solo mercoledì 31 ottobre. UN punto di incontro sul Governo potrebbe essere trovato alla luce della considerazione che la presentazione del modello non sposta gettito. Da questo punto di vista la scadenza importante è quella del 17 dicembre, data in cui i proprietari di immobili dovranno andare alla cassa per "completare" il pagamento dell'imposta dovuta dopo l'acconto di giugno.
 Le esclusioni
Ad ogni buon conto, vale la pena ricordare che l'abitazione principale non va mai dichiarata ai fini Imu, anche se acquistata nel 2012. Un obbligo che non scatta neanche in presenza del diritto alla maggiorazione di detrazione di 50 euro per ciascun figlio di età non superiore a 26 anni, convivente nell'abitazione principale. L'unica eccezione in questo senso riguarda i coniugi non separati ma con residenze diverse nello stesso comune. In questo caso, gli sgravi per l'abitazione principale sono possibili solo per una delle due case e la dichiarazione servirebbe solo per quella agevolabile.
Giovanni Parente www.ilsole24ore.com

venerdì 9 novembre 2012

L’appartamento destinato a portineria rimane soggetto al contenuto del contratto originario


La pattuizione contrattuale che assegna, in favore del condominio, una determinata destinazione all’alloggio del portiere rappresenta un ostacolo superabile solo dalla
volontà delle parti. Lo ha affermato la Cassazione con la sentenza 18501/12.
Gli acquirenti di un immobile chiedono al Tribunale la di dichiarazione di finita locazione di un immobile che, acquistato con destinazione a portineria, in realtà non era mai stato adibito a tale uso ma utilizzato dal condominio come deposito. Entrambi i giudizi di merito non hanno buon esito e i proprietari ricorrono per cassazione.
Vincolo, obbligazione … I ricorrenti sostengono che il giudice d’appello avrebbe dovuto, tenuto conto dell’eccezione di estinzione del vincolo di destinazione per non uso promossa in quella sede, superare il dato probatorio offerto dal condominio, ossia l’atto di compravendita dal quale risultava la destinazione.
La Cassazione rigetta il ricorso, confermando che non vi è motivo di ritenere che si sia voluto costituire «una servitù o un diritto reale di uso ex art. 1021 c.c. in favore del condominio, ma solo una obbligazione propter rem» non ancora estinta. Infatti, tale vincolo risulta stabilito dalle parti in forza della pattuizione contrattuale (compravendita) in favore del condominio. Quanto alla prova del mantenimento da parte del condominio del vincolo appena descritto, la Suprema Corte respinge le argomentazioni proposte dal ricorrente, stabilendo che – oltre al rilievo ‘pattizio’ – occorre tener conto anche delle attendibili deposizioni testimoniali.
Riguardo all’asserita presenza di un simile errore di diritto il Collegio afferma che «in presenza di una obbligazione propter rem il c.d. corrispettivo è irrilevante la fine di escludere la sussistenza di una tale obbligazione che costituisce, comunque, un vincolo di destinazione al bene ed è insensibile, pertanto, ad ogni connotazione economica». In sostanza, ciò che conta è la caratterizzazione giuridica del bene stesso, la cui evoluzione muta per il volere delle parti, che nel caso di specie non comprende una modificazione del vincolo di destinazione.
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