mercoledì 20 marzo 2013

CANNA FUMARIA ED USO PARTI COMUNI


La sentenza n. 945 del 16.01.2013 emessa dalla Suprema Corte di Cassazione (Sezione II, presidente dott. Triola Roberto Michele, relatore dott. Petitti Stefano) tratta l’impugnativa di una delibera condominiale nella quale l’assemblea approvava l’utilizzo del vano pattumiera – corrispondente ad un alloggio – per allocarvi il contatore e l’eventuale caldaia del gas. Il giudice di terzo grado ritiene tale delibera, assunta con la maggioranza di cui all’art. 1136, 2° comma, c.c. lecita in quanto l’opera non rientra nel regime delle innovazioni.
L’analisi svolta dai giudici di legittimità parte dalla circostanza che la canna pattumiera era stata sigillata, non veniva più utilizzata da anni ed aveva perso la sua originaria destinazione; tale mutamento viene così spiegato: “Rientra dunque nei poteri dell’assemblea quello di disciplinare beni e servizi comuni, al fine della migliore e più razionale utilizzazione, anche quando la sistemazione più funzionale del servizio comporta la dismissione o il trasferimento di tali beni.
L’assemblea con deliberazione a maggioranza ha quindi il potere di modificare, sostituire o eventualmente sopprimere un servizio anche laddove esso sia istituito e disciplinato dal regolamento condominiale se rimane nei limiti della disciplina delle modalità di svolgimento e quindi non incida sui diritti dei singoli condomini”.
Posto quanto sopra l’utilizzo del vano pattumiera non costituisce innovazione in quanto non muta la destinazione del bene comune occupato e rispetta i principi stabiliti dall’art. 1102, 1° comma, c.c.: Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purchè non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto”; la suprema Corte afferma pertanto il seguente principio di diritto: “Occorre in proposito premettere che nella giurisprudenza di questa Corte si è chiarito che costituisce innovazione ex art. 1120 cod. civ., non qualsiasi modificazione della cosa comune, ma solamente quella che alteri l'entità materiale del bene operandone la trasformazione, ovvero determini la trasformazione della sua destinazione, nel senso che detto bene presenti, a seguito delle opere eseguite una diversa consistenza materiale ovvero sia utilizzato per fini diversi da quelli precedenti l'esecuzione della opere.
Ove invece, la modificazione della cosa comune non assuma tale rilievo, ma risponda allo scopo di un uso del bene più intenso e proficuo, si versa nell'ambito dell'art. 1102 cod. civ., che pur dettato in materia di comunione in generale, è applicabile in materia di condominio degli edifici per il richiamo contenuto nell'art. 1139 cod. civ (Cass. n. 240 del 1997; Cass. n. 2940 del 1963).
In sostanza, perchè possa aversi innovazione è necessaria l'esecuzione di opere che, incidendo sull'essenza della cosa comune, ne alterino l'originaria funzione e destinazione. Inoltre, proprio perchè oggetto di una delibera assembleare, l'esecuzione di opere, per integrare una innovazione, deve essere rivolta a consentire una diversa utilizzazione delle cose comuni da parte di tutti i condomini”.
I principi qui affermati non subiscono mutamenti a seguito della “riforma del condominio” (L. 220/2012 che entrerà in vigore il 18.06.2013) anche se, in materia di opere svolte nelle parti private, è opportuno richiamare la nuova formulazione dell’art. 1122 c.c.: “Nell'unità immobiliare di sua proprietà ovvero nelle parti normalmente destinate all'uso comune, che siano state attribuite in proprietà esclusiva o destinate all'uso individuale, il condomino non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni ovvero determinino un pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell'edificio.
In ogni caso è data preventiva notizia all'amministratore che ne riferisce all'assemblea”.
Con il primo comma si tutela il condominio vietando al singolo di compiere (nella sua proprietà, nelle parti normalmente destinate all’uso comune ed in quelle che gli siano state attribuite in proprietà esclusiva) opere che rechino danno alle parti comuni che determinino un pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell’edificio. Così facendo si recepisce la giurisprudenza prevalente che già faceva discendere tali divieti anche dal precedente testo legislativo.
Il secondo comma è di più difficile interpretazione in quanto non è chiaro se la preventiva notizia all’amministratore debba essere data per tutte le opere di cui al comma 1 (quindi anche quelle nelle parti private !!!) o se invece imponga tale incombenza nel caso di opere che coinvolgono direttamente o indirettamente le parti comuni e che potrebbero rientrare nei casi di cui sopra. In attesa delle prime pronunce giurisprudenziali, personalmente, ritengo che la seconda ipotesi sia quella più ragionevole.

Scritto da Matteo Peroni Centro Studi Anaci

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