sabato 27 ottobre 2012

In assemblea voto su spese ben dettagliate


Quando ci sono interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria da deliberare l'assemblea si infiamma perché è in questo momento che il condomino è davvero chiamato "a fare i conti". L'art. 1118 del Codice civile è estremamente chiara nell'affermare che non è ammessa la rinuncia da parte del singolo condomino alle cose comuni e che
ognuno è di conseguenza tenuto a partecipare alle spese relative alla loro conservazione in proporzione alla quota millesimale. Per il condominio non c'è invero una precisa
definizione del carattere ordinario o straordinario della spesa e anzi a volte viene adottata una terminologia non sempre uniforme.
Tra le spese ordinarie si annoverano quelle di conservazione e di godimento del bene comune, quelle cioè inerenti alla normale manutenzione del bene e degli impianti e finalizzate a garantire il loro normale uso. Nelle spese straordinarie rientrano invece le cosiddette spese di proprietà, ossia quelle inerenti all'installazione di un bene, quelle necessarie per la manutenzione non abituale degli impianti e delle cose comuni in genere, ovvero tutte quelle miranti a conservarne nel tempo o a ricostruirne o innovarne la struttura. Sia le une che le altre spese richiedono la preventiva approvazione dell'assemblea, perché così espressamente richiede la legge (art. 1135 cod.civ.) per tutte le spese occorrenti durante l'anno. Nessun problema per gli interventi di ordinaria manutenzione, per la cui approvazione è sufficiente il voto favorevole espresso da
almeno un terzo dei partecipanti al condominio portatori di un terzo dei millesimi.
Un semplice ma necessario chiarimento: l'assemblea funziona sempre con il sistema della doppia maggioranza per la validità delle singole deliberazioni: occorre sempre
raggiungere contemporaneamente il numero richiesto dalla legge per i millesimi e per le "teste", cioè dei singoli partecipanti al condominio oppure, per alcune delibere, dei presenti in assemblea (anche per delega). I condomini devono partecipare alla riunione ben sapendo di cosa andranno a discutere. Ancor più quando si parla di eseguire opere importanti sull'edificio, per le quali diventa addirittura indispensabile affidare a un ristretto numero di condomini il compito di raccogliere dalle varie imprese (meglio non più di quattro) le rispettive offerte, sulla base di un unico capitolato fatto redigere da un professionista a cui, con ogni probabilità, si andrà poi a conferire l'incarico di direttore dei lavori.
Una volta raccolte tutte le informazioni ed esauritasi la fase di consultazione con le imprese, il compito dell'amministratore e della commissione è quello di redigere una pur breve relazione comparativa delle varie offerte ricevute, da inviare ai condomini unitamente all'avviso di convocazione dell'assemblea al fine di portare a conoscenza di tutti loro i risultati del lavoro svolto.
Il condomino viene così posto in grado di valutare le caratteristiche non solo dell' intervento, ma anche quelle dell'impresa a cui affidarne l'esecuzione. È l'assemblea che
deve assumere ogni definitiva decisione circa l'esecuzione dei lavori, essendo priva di rilevanza qualsiasi delega che eventualmente l'assemblea ritenga di conferire a un gruppo ristretto di condomini.
Simili delibere richiedono il consenso della maggioranza degli intervenuti in assemblea (comunque non inferiore al terzo di tutti i condomini costituenti il condominio) che
rappresenti almeno la metà del valore millesimale dell'edificio, maggioranza peraltro confermata anche nel testo di riforma di recente approvato dalla Camera.
Parimenti dicasi per gli interventi sugli edifici e sugli impianti condominiali finalizzati al contenimento dei consumi energetici, nonché per quelli previsti per l'eliminazione delle barriere architettoniche e per le opere finalizzate a migliorare la sicurezza e la salubrità
dell'edificio (vedi tabella a lato).
Augusto Cirla www.ilsole24ore.com

giovedì 25 ottobre 2012

Imu 2013 più «comunale»


L'Imu del 2013 sarà più comunale di quella attuale, ma prima di parlare di «imposta ai sindaci» c'è ancora parecchia strada da fare; la riforma del Patto di stabilità è una prospettiva, ma prima occorre cambiare lo scenario europeo dando più spazio agli investimenti pubblici, tema che sarà al centro anche del Consiglio europeo in programma oggi e domani a Bruxelles. Intervenendo a Bologna alla giornata inaugurale dell'assemblea nazionale Anci, il presidente del Consiglio Mario Monti offre agli amministratori locali prospettive più che promesse circostanziate, e scenari che vanno nella direzione chiesta dai sindaci ma con più timidezza di quanto sperato dai diretti interessati.
Le aperture più chiare arrivano sull'Imu, e si basano sul fatto che il premier riconosce «i problemi legati alla quota statale dell'imposta», che hanno imbrigliato «l'ampia autonomia regolamentare e sulle aliquote riconosciute ai sindaci». Gli scenari di finanza pubblica, pur lontani dal «rischio-catastrofe» di 11 mesi fa, «non consentono di cancellare la riserva statale sull'imposta», ma permettono di alleggerirla. L'Imu 2013 prospettata da Monti, insomma, vede ridursi la parte destinata all'Erario, che oggi copre il 50% del gettito ad aliquota standard con l'eccezione dell'abitazione principale, senza però sparire. «Su questo tema c'è ancora molto da lavorare», risponde il presidente dell'Anci, il sindaco di Reggio Emilia Graziano Delrio, anche perché occorre capire quale sarà la funzione della quota statale che sopravviverà l'anno prossimo. Lo scambio secco fra l'addio agli ex trasferimenti e la consegna ai sindaci di tutta l'Imu, ipotizzata qualche mese fa, non funziona più, perché con i tagli imposti dal decreto sulla revisione di spesa e dalla legge di stabilità il fondo di riequilibrio si fermerà a 7 miliardi, cioè oltre 2 miliardi sotto il gettito erariale dell'Imu. Nel 2013, però, la quota statale residua potrebbe essere impiegata per aiutare i Comuni in cui il gettito fiscale del mattone non è sufficiente, con l'obiettivo di cancellare una volta per tutte la dipendenza della finanza.
Gianni Trovati www.ilsole24ore.com

lunedì 22 ottobre 2012

Chi ha un mutuo esaurisce subito il plafond di 3mila euro previsto per le detrazioni fiscali. E rende inutile chiedere altri sconti

Chi accende un mutuo per l'abitazione principale, o l'ha avviato negli ultimi anni, si dimentichi di chiedere al Fisco sconti per l'assicurazione sulla vita, le spese d'istruzione dei figli o quelle per l'affitto dello studente fuori sede, quelle sostenute per lo sport dei bambini o gli assegni per la beneficenza. 
Gli interessi passivi del mutuo bastano, e avanzano, a esaurire il plafond da 3mila euro che le nuove regole, applicabili già ai redditi di quest'anno se il Parlamento accetterà il boccone amaro della retroattività, permettono di portare in detrazione, ottenendo uno sconto massimo da 570 euro all'anno. A chiedere al Fisco la detrazione per gli interessi passivi pagati sul mutuo sono ogni anno 3,8 milioni di italiani, e nell'85% dei casi vengono colpiti dalle nuove regole perché dichiarano più di 15mila euro. In almeno un milione di casi, a essere prudenti, la detrazione attuale supera il nuovo tetto da 3mila euro: ogni anno vengono erogati in Italia circa 250mila mutui per abitazione principale superiori ai 100mila euro all'anno, una cifra più che sufficiente a sfondare il plafond nei primi 4-5 anni di vita del mutuo.
Che succede in questi casi? Il nuovo tetto da 3mila euro alla spesa detraibile assottiglia di 190 euro all'anno lo sconto rispetto a quello offerto dalle vecchie regole, ma soprattutto impedisce di portare in detrazione le altre spese coinvolte dal tetto, che fra le grandi voci esclude solo quelle sanitarie. Il profilo pubblicato qui sopra fruisce di varie detrazioni proprio per mostrare gli effetti concreti della novità: con le vecchie regole, il contribuente ritratto nell'esempio poteva farsi scontare, oltre agli interessi del mutuo, il 19% le spese per l'assicurazione e quelle per retta e affitto del figlio studente fuori sede. Totale: 1.377,5 euro di Irpef in meno. Nella prossima dichiarazione, secondo la norma scritta nel Ddl di stabilità, solo il mutuo offrirà uno sconto d'imposta (570 euro invece di 760) e basterà da solo a escludere qualsiasi detrazione per le altre voci. 
Una condizione del genere può interessare i titolari di mutui per molti anni. Secondo Mutuionline.it, il broker che mette a confronto le offerte delle banche, il mutuo medio si attesta oggi a 130mila euro, e in circa l'80% dei casi dura tra i 20 e i 30 anni. Un contratto ventennale di questo importo, secondo i tassi attuali molto bassi nonostante gli spread chiesti dalle  banche, basta a esaurire il nuovo plafond delle detrazioni per 8 anni se a tasso variabile, e per 15 anni se a tasso fisso. Alzando l'importo o allungando la durata, la situazione peggiora. «È un colpo a un mercato già in difficoltà per la crisi – sottolinea Roberto Anedda, vicepresidente di Mutuionline –, che stringe ancora su detrazioni ferme da parecchi anni: basta pensare al vecchio limite da 7 milioni di lire, quando il mutuo medio non superava i 100 milioni». 
I grafici a fianco mostrano l'aumento di costo fiscale del mutuo, che può arrivare a 4.507 euro nel caso di un contratto da 170mila euro, ma a questa cifra vanno aggiunte tutte le spese che i contribuenti non potranno più detrarre proprio perché gli interessi passivi esauriscono il plafond. Nel caso del profilo mostrato sopra, si tratta di 617 euro in più all'anno.

Gianni Trovati www.ilsole24ore.com


venerdì 19 ottobre 2012

Cambio d'uso più agevole per le cose comuni


La riforma della legge condominiale propone un interessantissimo istituto, poiché il nuovo articolo 1117 bis consentirà all'assemblea di incidere sulla titolarità delle cose comuni.
Sarà più difficile definire il condominio come «ente di mera gestione», poiché la maggioranza potrà decidere se alcuni beni interessino ancora la collettività dei proprietari e debbano quindi continuare ad appartenere pro indiviso ai condomini, o se debbano assumere «nuova destinazione d'uso».
La maggioranza di 4/5 dei condomini, con 4/5 dei millesimi, potrà constatare che è venuta meno l'utilità di impianti e cose, che potranno essere dismessi e ceduti a terzi. In questi casi l'avviso di convocazione sarà affisso «nei locali di maggior uso comune» per almeno trenta giorni e dovrà essere recapitato almeno venti giorni prima della riunione. Impianti e beni dei quali sia venuta meno l'utilità comune muteranno natura, talché saranno ex parti comuni che si potranno dismettere e quindi cedere ad altri. 
Non si tratterà, però, soltanto di «vendere le parti comuni», come taluno ipotizza. Viene a cadere uno steccato molto più importante, che potrà modificare la natura del condominio, certamente meno legato al diritto romano e forse anche più moderno ed adeguato ai nostri
tempi; ma questa è valutazione che attende conferme.

Eugenio Antonio Correale www.casa.24.ilsole24.it

giovedì 18 ottobre 2012

Meno burocrazia nel condominio


Niente repertorio dei condomini e niente registro degli amministratori. Anche se per questi ultimi vengono disciplinati i requisiti per l'accesso alla professione. Il testo del disegno di legge sulla riforma del condominio è stato modificato dall'aula della camera e rispetto alla
formulazione approvata dal Senato ha visto uscire dall'articolato i due registri.
In particolare sull'amministratore di condominio, mentre in Senato e in commissione alla camera era prevista l'istituzione di un registro per i professionisti presso l'Agenzia del territorio, gli emendamenti approvati in aula hanno ridimensionato la disposizione. Nel testo finale, eliminato il riferimento al registro, si specifica che per svolgere l'incarico di amministratore di condominio occorrono requisiti morali (assenza di condanne penali o
di protesti, godimento di diritti civili ecc.) e professionali.
Il testo definitivo conferma, sciogliendo definitivamente ogni dubbio, che possono svolgere l'incarico di amministratore di condominio anche le società e che, in tal caso, i requisiti devono essere posseduti dai soci illimitatamente responsabili, dagli amministratori e dai dipendenti incaricati di svolgere le funzioni di amministrazione dei condomini a favore dei quali la società presta i servizi.
Viene anche stabilito un regime transitorio al fine di consentire la prosecuzione dell'attività per chi ha svolto attività di amministrazione di condominio per almeno un anno nell'arco del triennio antecedente l'entrata in vigore della riforma. Rimangono fermi anche in questo casi i requisiti morali, ma si può derogare ai requisiti professionali.
Non occorrono, invece, requisiti professionali, ma solo requisiti morali (assenza di condanne penali), quando l'amministratore sia nominato tra i condomini dello stabile. La norma favorisce una soluzione interna all'edificio, ritenendo che la partecipazione al condominio sia circostanza assorbente. Il testo definitivo del disegno di legge ha anche perso un altro pezzo di burocrazia condominiale e cioè il repertorio dei condomini. Nel testo del senato e della commissione della camera tale registro era istituito presso ogni ufficio provinciale dell'Agenzia del territorio e doveva contenere l'anagrafe di ogni condominio comprensiva di tutte le principali delibere condominiali, i regolamenti, i bilanci e gli atti di contenzioso.

Antonio Ciccia www.italiaoggi.it

mercoledì 17 ottobre 2012

Assemblea, dopo 70 anni certezze sul quorum


Finalmente chiarezza anche sulle maggioranze richieste per la costituzione dell'assemblea in seconda convocazione. Si chiude così un vuoto legislativo che durava da oltre settant'anni. Il nuovo terzo comma dell'articolo 1136 del codice civile dispone che l'assemblea in seconda convocazione è regolarmente costituita con l'intervento di tanti condomini che rappresentano almeno un terzo del valore dell'intero edificio e un terzo dei partecipanti al condominio.
La necessità di simile precisazione nasce dal fatto che l'attuale articolo prevede una presenza costitutiva solo per l'assemblea di prima convocazione, per la cui validità è richiesta la partecipazione sia di un'elevata percentuale di millesimi (due terzi), sia di un pari numero di condomini. Nulla si dice invece per la seconda convocazione, per la quale vengono indicate le sole maggioranze necessarie per deliberare.
E così non erano mancati i sostenitori della tesi per cui l'elevata maggioranza costitutiva prevista per la prima convocazione doveva valere anche per la seconda: il che significava rendere quasi impossibile riuscire poi a deliberare. Adesso ogni dubbio è eliminato perché l'assemblea di seconda convocazione si costituisce e delibera con le stesse maggioranze, ben inferiori a quelle per la prima convocazione.

www.casa.24.ilsole24.it

sabato 13 ottobre 2012

L'immobile storico non sempre è vincolato


L'«interesse culturale» non viaggia sullo stesso binario dell'«eminenza storico-artistica». Sono decenni che tecnici e contribuenti cercano di capire se gli immobili vincolati ai sensi del Dlgs 42/2004 (il Codice dei beni culturali) sono automaticamente da inquadrare nella categoria A/9.
L'agenzia del Territorio, con la circolare 5/2012 diffusa ieri, ha chiarito una volta per tutte due importanti principi:
- se un immobile viene dichiarato di interesse culturale e sottoposto al regime vincolistico (Dlgs 42/2004), a prescindere dal vincolo, subisce un inquadramento nella categoria catastale corrispondente alle sue caratteristiche; quindi, una villa di inizio Novecento, vincolata o meno, va classata in A/8;
2 - solo gli immobili con le speciali caratteristiche costruttive e tipologiche della categoria A/9 (castelli e palazzi, appunto) possono essere inquadrati in questa categoria.
La questione è che il «riconoscimento» dell'interesse culturale provoca automaticamente un vincolo, con tutte le conseguenze: agevolazioni fiscali e finanziamenti (pochi) per gli interventi edilizi ma controllo severo da parte della soprintendenza per l'esecuzione filologica di manutenzioni e variazioni di ogni genere. Sino al Dl 201/2011 (il Dl Salva Italia) l'agevolazione principale consisteva nel fatto che ogni imposta si calcolava su una base imponibile fittizia, di fatto abbassata dal 50 al 90 per cento. Poi, però, è intervenuta la mannaia del Dl 201/2011, che ha consentito la sola riduzione del 50% della base imponibile ai fini Imu e solo agli edifici vincolati.
La precisazione del Territorio è quindi determinante per dissipare ogni dubbio: non tutti gli immobili classati in A/9 hanno diritto alle agevolazioni, ma solo quelli vincolati. La circolare sottolinea anche le «caratteristiche»: nella A/9 vanno i palazzi e i castelli «eminenti» per la loro struttura, la ripartizione degli spazi interni e dei volumi edificati, che non siano compatibili con le «unità tipo» delle altre categorie. Se un castello è diventato una multiproprietà o un albergo, difficilmente rientrerà nella A/9 ma sarà concretamente inserito in altre categorie. 
Il che non gli impedirà di ottenere la qualifica di «interesse culturale», il vincolo (se la Soprintendenza lo giudicherà opportuno) e il bonus Imu. 
La circolare, tra l'altro, equipara la categoria A/11 (trulli, dammusi, sassi) alla A/9: vanno inquadrati nella A/11 se effettivamente sono abitazioni «tipiche dei luoghi», indipendentemente dall'«interesse culturale». Il vincolo, comunque, andrà annotato al catasto, indicando anche gli estremi della trascrizione del vincolo nei registri immobiliari.
Saverio Fossati www.ilsole24ore.com

mercoledì 10 ottobre 2012

circolare 40/e agenzia dell'entrate responsabilità dell' appaltatore



OGGETTO: Articolo 13-ter del DL n. 83 del 2012 - Disposizioni in materia di
responsabilità solidale dell’appaltatore - Chiarimenti

Premessa:

Lo scorso 12 agosto è entrato in vigore l’articolo 13-ter del decreto legge
22 giugno 2012, n. 83 (cd. decreto crescita) – convertito, con modificazioni, dalla
legge 7 agosto 2012, n. 134 – che, sostituendo integralmente il comma 28
dell’articolo 35 del DL n. 223 del 2006, ha modificato la disciplina in materia di
responsabilità fiscale nell’ambito dei contratti d’appalto e subappalto di opere e
servizi.
La disposizione, in estrema sintesi, prevede la responsabilità
dell’appaltatore e del committente per il versamento all’Erario delle ritenute
fiscali sui redditi di lavoro dipendente e dell’imposta sul valore aggiunto dovuta
dal subappaltatore e dall’appaltatore in relazione alle prestazioni effettuate
nell’ambito del contratto. La norma esclude tale responsabilità se
l’appaltatore/committente acquisisce la documentazione attestante che i
versamenti fiscali, scaduti alla data del pagamento del corrispettivo, sono stati
correttamente eseguiti dal subappaltatore/appaltatore, documentazione che,
secondo quanto previsto dalla stessa disposizione, può consistere anche nella
asseverazione rilasciata da CAF o da professionisti abilitati. La disposizione
prevede, inoltre, che sia l’appaltatore che il committente possono sospendere il
pagamento del corrispettivo dovuto al subappaltatore/appaltatore fino
all’esibizione della predetta documentazione.
L’incertezza sull’ambito applicativo della norma sta generando difficoltà
applicative. Le associazioni delle categorie interessate hanno, infatti,
rappresentato che, in attesa di specifiche istruzioni che consentano la puntuale
individuazione dei limiti di responsabilità dei soggetti coinvolti, sono stati
sospesi i pagamenti da parte dei committenti/appaltatori a favore di appaltatori e
subappaltatori.
In considerazione della necessità di fornire urgenti indicazioni, si
forniscono i seguenti chiarimenti in merito agli aspetti maggiormente critici della
disposizione, individuati nella decorrenza dei relativi effetti e nella certificazione
idonea ad attestare la regolarità dei versamenti delle ritenute e dell’IVA.

Entrata in vigore della disposizione
Una delle questioni maggiormente avvertite attiene all’individuazione
del momento di entrata in vigore delle disposizioni dell’articolo 13-ter ed, in
particolare, del momento a partire dal quale il committente/appaltatore è tenuto,
in forza delle nuove disposizioni, a verificare che gli adempimenti fiscali -
consistenti nel versamento delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente e
nel versamento dell’imposta sul valore aggiunto dovuta all’Erario in relazione
alle prestazioni effettuate nell’ambito del rapporto di appalto/subappalto - scaduti
alla data del pagamento del corrispettivo, siano stati correttamente eseguiti
dall’appaltatore/subappaltatore.
Si è dell’avviso che le disposizioni contenute nell’articolo 13-ter del DL
n. 83 del 2012 debbano trovare applicazione solo per i contratti di
appalto/subappalto stipulati a decorrere dalla data di entrata in vigore della
norma, ossia dal 12 agosto 2012.
Inoltre, considerato che la norma introduce, sia a carico dell’appaltatore
che del subappaltatore, un adempimento di natura tributaria, si deve ritenere che,
in base all’articolo 3, comma 2, della legge n. 212 del 2000 (Statuto del
contribuente), tali adempimenti siano esigibili a partire dal sessantesimo giorno
successivo a quello di entrata in vigore della norma, con la conseguenza che la
certificazione deve essere richiesta solamente in relazione ai pagamenti effettuati
a partire dall’11 ottobre 2012, in relazione ai contratti stipulati a partire dal 12
agosto 2012.
Tale soluzione si basa sulla considerazione che la disposizione,
intervenendo su un elemento fondamentale delle prestazioni contrattuali quale il
pagamento del corrispettivo, potrebbe alterare il rapporto sinallagmatico relativo
ai contratti già stipulati. La norma attribuisce, infatti, ad una delle parti
(appaltatore/committente) il diritto potestativo di sospendere la propria
prestazione (il pagamento) in attesa che l’altra parte (appaltatore/subappaltatore)
produca una documentazione attestante la regolarità degli adempimenti fiscali.

Acquisizione della documentazione
Un’altra criticità sollevata con riferimento alla norma in questione attiene
alla documentazione che l’appaltatore/subappaltatore deve produrre per
dimostrare il regolare versamento dell’IVA e delle ritenute, scaduti alla data del
pagamento del corrispettivo, al fine di superare il vincolo di responsabilità
solidale del committente/appaltatore.
Poiché la disposizione prevede che l’attestazione dell’avvenuto
adempimento degli obblighi fiscali può essere rilasciata anche attraverso
l’asseverazione di un responsabile del centro di assistenza fiscale o di un
soggetto abilitato ai sensi dell’articolo 35, comma 1, del D.Lgs. 9 luglio 1997, n.
241, e dell’articolo 3, comma 3, lettera a), del regolamento di cui al DPR 22
luglio 1998, n. 322, si può ammettere il ricorso ad ulteriori forme di
documentazione idonee a tale fine.
In particolare, si ritiene valida, in alternativa alle asseverazioni prestate
dai CAF Imprese e dai professionisti abilitati, una dichiarazione sostitutiva - resa
ai sensi del DPR n. 445 del 2000 - con cui l’appaltatore/subappaltatore attesta
l’avvenuto adempimento degli obblighi richiesti dalla disposizione.
Nello specifico, la dichiarazione sostitutiva deve:
- indicare il periodo nel quale l’IVA relativa alle fatture concernenti i
lavori eseguiti è stata liquidata, specificando se dalla suddetta
liquidazione è scaturito un versamento di imposta, ovvero se in
relazione alle fatture oggetto del contratto è stato applicato il regime
dell’IVA per cassa (articolo 7 del DL n. 185 del 2008) oppure la
disciplina del reverse charge;
- indicare il periodo nel quale le ritenute sui redditi di lavoro
dipendente sono state versate, mediante scomputo totale o parziale;
- riportare gli estremi del modello F24 con il quale i versamenti
dell’IVA e delle ritenute non scomputate, totalmente o parzialmente,
sono stati effettuati;
- contenere l’affermazione che l’IVA e le ritenute versate includono
quelle riferibili al contratto di appalto/subappalto per il quale la
dichiarazione viene resa.

***
Le Direzioni regionali vigileranno affinché i principi enunciati e le
istruzioni fornite con la presente circolare vengano puntualmente osservati dalle
Direzioni provinciali e dagli Uffici dipendenti.

IL DIRETTORE DELL’AGENZIA

martedì 9 ottobre 2012

Video e riscaldamento, nuove regole per il condominio


Via libera a maggioranza alla videosorveglianza condominiale. La ripresa di spazi e aree comuni raggiunge così certezza normativa, all'interno di una grande confusione giurisprudenziale. È una delle novità introdotte dalla riforma del condominio approvata alla
camera venerdì scorso in seconda lettura e ora al senato
per l'ormai sicuro sì definitivo. Ma vediamo le principali
novità.

La videosorveglianza. 

L'installazione di sistemi di videosorveglianza viene sovente effettuata da persone
fisiche per fini esclusivamente personali. In tali ipotesi possono rientrare, a titolo esemplificativo, strumenti di videosorveglianza idonei a identificare coloro che si
accingono a entrare in luoghi privati (videocitofoni ovvero altre apparecchiature che rilevano immagini o suoni, anche tramite registrazione), oltre a sistemi di ripresa installati
nei pressi di immobili privati e all'interno di condomini e loro pertinenze (quali posti auto e box).
In tal caso la disciplina del Codice non trova applicazione qualora i dati non siano comunicati sistematicamente a terzi ovvero diffusi. Si ricorda però che, seppure non trovi
applicazione la disciplina del Codice, al fine di evitare di incorrere nel reato di interferenze illecite nella vita privata, l'angolo visuale delle riprese deve essere comunque limitato ai soli spazi di propria esclusiva pertinenza (ad esempio antistanti l'accesso alla propria abitazione) escludendo ogni forma di ripresa, anche senza registrazione di immagini, relativa ad aree comuni (cortili, pianerottoli, scale, garage comuni) ovvero ad ambiti antistanti l'abitazione di altri condomini.
Per quanto riguarda l'installazione sulle parti comuni dell'edificio di impianti volti a consentire la videosorveglianza su di esse, sono approvate dall'assemblea con la maggioranza di cui al secondo comma dell'articolo 1136 del codice civile. Ma si devono osservare alcune regole. 
a) Informativa. Le persone che transitano nelle aree sorvegliate devono essere informati con cartelli della presenza delle telecamere, i cartelli devono essere resi visibili anche quando il sistema di videosorveglianza è attivo in orario notturno. Nel caso in cui i sistemi di videosorveglianza installati siano collegati alle forze di polizia è necessario apporre uno specifico cartello che lo evidenzi.
b) Conservazione. Le immagini registrate possono essere conservate per periodo limitato e fino ad un massimo di 24 ore, fatte salve speciali esigenze di ulteriore conservazione in relazione a indagini.
c) Consenso. Contro possibili aggressioni, furti, rapine, danneggiamenti, atti di vandalismo, prevenzione incendi, sicurezza del lavoro ecc. si possono installare telecamere senza il consenso dei soggetti ripresi, ma sempre sulla base
delle prescrizioni indicate dal Garante.

Addio riscaldamento centralizzato. 

La riforma modifica l'articolo 1118 del codice civile per precisare che il singolo
condomino può distaccarsi dall'impianto centralizzato di riscaldamento, ma solo in presenza di due condizioni. La prima è che l'unità abitativa non gode della normale
erogazione di calore, per problemi tecnici all'impianto condominiale, che non vengono risolti nel corso di una intera stagione di riscaldamento. La seconda è che il
distacco non comporti squilibri tali da compromettere la normale erogazione di calore agli altri condomini o aggravi di spesa.

Antonio Ciccia www.italiaoggi.it