La sentenza n. 945 del 16.01.2013
emessa dalla Suprema Corte di Cassazione (Sezione II, presidente dott. Triola Roberto
Michele, relatore dott. Petitti Stefano) tratta l’impugnativa di una delibera condominiale nella quale
l’assemblea approvava l’utilizzo del vano pattumiera – corrispondente ad un alloggio – per
allocarvi il contatore e l’eventuale caldaia del gas. Il giudice di terzo grado ritiene tale delibera,
assunta con la maggioranza di cui all’art. 1136, 2° comma, c.c. lecita in quanto l’opera non rientra
nel regime delle innovazioni.
L’analisi svolta dai giudici di
legittimità parte dalla circostanza che la canna pattumiera era stata sigillata, non veniva più utilizzata
da anni ed aveva perso la sua originaria destinazione; tale mutamento viene così spiegato: “Rientra
dunque nei poteri dell’assemblea quello di disciplinare beni e servizi comuni, al fine della
migliore e più razionale utilizzazione, anche quando la sistemazione più funzionale del
servizio comporta la dismissione o il trasferimento di tali beni.
L’assemblea con deliberazione a
maggioranza ha quindi il potere di modificare, sostituire o eventualmente sopprimere un servizio
anche laddove esso sia istituito e disciplinato dal regolamento condominiale se rimane
nei limiti della disciplina delle modalità di svolgimento e quindi non incida
sui diritti dei singoli condomini”.
Posto quanto sopra l’utilizzo del
vano pattumiera non costituisce innovazione in quanto non muta la destinazione del bene comune
occupato e rispetta i principi stabiliti dall’art. 1102, 1° comma, c.c.: “Ciascun partecipante può
servirsi della cosa comune, purchè non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di
farne parimenti uso secondo il loro diritto”; la suprema Corte afferma pertanto il seguente
principio di diritto: “Occorre in proposito premettere che nella giurisprudenza di questa Corte si è
chiarito che costituisce innovazione ex art. 1120 cod. civ., non qualsiasi modificazione della cosa
comune, ma solamente quella che alteri l'entità materiale del bene operandone la trasformazione,
ovvero determini la trasformazione della sua destinazione, nel senso che detto bene presenti, a
seguito delle opere eseguite una diversa consistenza materiale ovvero sia utilizzato per fini
diversi da quelli precedenti l'esecuzione della opere.
Ove invece, la modificazione della
cosa comune non assuma tale rilievo, ma risponda allo scopo di un uso del bene più intenso e
proficuo, si versa nell'ambito dell'art. 1102 cod. civ., che pur dettato in materia di comunione in generale,
è applicabile in materia di condominio degli edifici per il richiamo contenuto nell'art. 1139
cod. civ (Cass. n. 240 del 1997; Cass. n. 2940 del 1963).
In sostanza, perchè possa aversi
innovazione è necessaria l'esecuzione di opere che, incidendo sull'essenza della cosa comune, ne
alterino l'originaria funzione e destinazione. Inoltre, proprio perchè oggetto di una delibera
assembleare, l'esecuzione di opere, per integrare una innovazione, deve essere rivolta a consentire una
diversa utilizzazione delle cose comuni da parte di tutti i condomini”.
I principi qui affermati non
subiscono mutamenti a seguito della “riforma del condominio” (L. 220/2012 che entrerà in vigore il
18.06.2013) anche se, in materia di opere svolte nelle parti private, è opportuno richiamare la
nuova formulazione dell’art. 1122 c.c.: “Nell'unità immobiliare di sua proprietà ovvero nelle parti
normalmente destinate all'uso comune, che siano state attribuite in proprietà esclusiva o destinate
all'uso individuale, il condomino non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni
ovvero determinino un pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico
dell'edificio.
In ogni caso è data preventiva
notizia all'amministratore che ne riferisce all'assemblea”.
Con il primo comma si tutela il
condominio vietando al singolo di compiere (nella sua proprietà, nelle parti normalmente destinate
all’uso comune ed in quelle che gli siano state attribuite in proprietà esclusiva) opere che
rechino danno alle parti comuni che determinino un pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al
decoro architettonico dell’edificio. Così facendo si recepisce la giurisprudenza prevalente che già
faceva discendere tali divieti anche dal precedente testo legislativo.
Il secondo comma è di più difficile
interpretazione in quanto non è chiaro se la preventiva notizia all’amministratore debba essere data
per tutte le opere di cui al comma 1 (quindi anche quelle nelle parti private !!!) o se invece
imponga tale incombenza nel caso di opere che coinvolgono direttamente o indirettamente le
parti comuni e che potrebbero rientrare nei casi di cui sopra. In attesa delle prime pronunce
giurisprudenziali, personalmente, ritengo che la seconda ipotesi sia quella più ragionevole.
Scritto da
Matteo Peroni Centro Studi Anaci
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