venerdì 29 marzo 2013

SPESE CONDOMINIALI: Cassazione Civile, 29.01.2013, n. 2049: Il condomino non può ritardare il pagamento delle rate in attesa dell'evolvere delle vicende del contratto d'appalto.


La delibera di spesa adottata dal condominio e divenuta inoppugnabile fa sorgere l'obbligo del condomino di pagare al condominio la somma dovuta.
Obbligazione del condomino verso il condominio e vicende delle partite debitorie del condominio verso i suoi fornitori o creditori sono indipendenti.
Il condomino non può pertanto ritardare il pagamento delle rate di spesa in attesa dell'evolvere delle relazioni contrattuali tra condominio e soggetti creditori di quest'ultimo.
Scaricherebbe altrimenti sugli altri condomini gli oneri del proprio ritardo nell'adempimento.
Deve invece adempiere all'obbligazione verso il Condominio e, qualora dalla gestione condominale residuino avanzi di cassa, vuoi per mancate spese, vuoi per la risoluzione di contratti in precedenza stipulati e conseguenti restituzioni, sorgerà eventualmente un credito nei confronti del condominio, tenuto a restituire, con il bilancio consuntivo di fine anno, l'esubero di cassa spettante secondo i rendiconti e le provenienze dei vari fondi residui.
(Nel caso di specie erano state deliberate opere con conseguente obbligo dell'amministratore di riscuotere i contributi dai condomini. Successivamente il contratto di appalto era stato risolto. Nel frattempo, però, l'amministratore aveva dato incarico di procedere con un decreto ingiuntivo.)

Scritto da Edoardo Riccio Centro Studi Anaci 

seguici su twitter:@MAUROMGSAS


giovedì 28 marzo 2013

DISTANZE: Cassazione Civile, 16.01.2013, n. 955: Il diritto di veduta non comprende il diritto di sogguardare verso l'interno della sottostante proprietà coperta dalla soglia del balcone


I principi appena ricordati si coordinano con l'ulteriore dictum per cui "il proprietario o condomino il quale realizzi un manufatto in appoggio o in aderenza al muro in cui si apre una veduta diretta o obliqua esercitata da un sovrastante balcone, e lo elevi sino alla soglia del balcone stesso, non è soggetto, rispetto a questo, alle distanze prescritte dall'art. 907 c.c., comma 3, nel caso in cui il manufatto sia contenuto nello spazio volumetrico delimitato dalla proiezione verticale verso il basso della soglia predetta, in modo da non limitare la veduta in avanti e a piombo del proprietario del piano di sopra. Infatti, tra le normali facoltà attribuite al titolare della veduta diretta od obliqua esercitata da un balcone è compresa quella di inspicere e prospicere in avanti e a piombo, ma non di sogguardare verso l'interno della sottostante proprietà coperta dalla soglia del balcone, non potendo trovare tutela la pretesa di esercitare la veduta con modalità abnormi e puramente intrusive, ossia sporgendosi oltre misura dalla ringhiera o dal parapetto. Peraltro, è la stessa norma dell'art. 907 cod. civ. ad aver operato il bilanciamento con l'interesse, obiettivo, alla riservatezza, dando rilievo all'interesse alla salvaguardia del diritto di veduta in ragione del suo contenuto che esprime un "valore sociale", posto che luce ed aria assicurano l'igiene degli edifici soddisfacendo bisogni elementari di chi li abita.

Scritto da Edoardo Riccio Centro Studi Anaci 

seguici su twitter:@MAUROMGSAS


mercoledì 27 marzo 2013

USO DELLA COSA COMUNE


Cassazione Civile, 16.01.2013, n. 945: La differenza tra innovazione e uso più intenso della cosa comune

Costituisce innovazione ex art. 1120 cod. civ., non qualsiasi modificazione della cosa comune, ma solamente quella che alteri l'entità materiale del bene operandone la trasformazione, ovvero determini la trasformazione della sua destinazione, nel senso che detto bene presenti, a seguito delle opere eseguite una diversa consistenza materiale ovvero sia utilizzato per fini diversi da quelli precedenti l'esecuzione della opere. Ove invece, la modificazione della cosa comune non assuma tale rilievo, ma risponda allo scopo di un uso del bene più intenso e proficuo, si versa nell'ambito dell'art. 1102 cod. civ., che pur dettato in materia di comunione in generale, è applicabile in materia di condominio degli edifici per il richiamo contenuto nell'art. 1139 cod. civ. In sostanza, perchè possa aversi innovazione è necessaria l'esecuzione di opere che, incidendo sull'essenza della cosa comune, ne alterino l'originaria funzione e destinazione. Inoltre, proprio perchè oggetto di una delibera assembleare, l'esecuzione di opere, per integrare una innovazione, deve essere rivolta a consentire una diversa utilizzazione delle cose comuni da parte di tutti i condomini.

Scritto da Edoardo Riccio Centro Studi Anaci 

seguici su twitter:@MAUROMGSAS




Cassazione Civile, 24.01.2013, n. 1753: Sono nulle le clausole che sottraggono le aree destinate a parcheggio ai sensi della L. 1150/1942 al loro obbligatorio asservimento all'uso ed al godimento dei condomini


L'art. 41 "sexies" della Legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150, introdotto dalla L. 6 agosto 1967, n. 765, art. 18, il quale dispone che nelle nuove costruzioni debbono essere riservati appositi spazi per parcheggi, stabilisce un vincolo di destinazione, in correlazione con la finalità perseguita di normalizzazione della viabilità urbana, che incide con effetti necessariamente inscindibili sia nel rapporto pubblicistico di concessione - autorizzazione edilizia, sia negli atti privati di disposizione degli spazi riservati al parcheggio, imponendo la destinazione di detti spazi ad uso diretto dei proprietari delle unità immobiliari comprese nell'edificio, e dei loro aventi causa.
Pertanto, sono nulle e sostituite "ope legis" dalla norma imperativa, ai sensi dell'art. 1419 c.c., comma 2, le clausole dei contratti di vendita che sottraggono le aree predette al loro obbligatorio asservimento all'uso ed al godimento dei condomini.

Scritto da Edoardo Riccio Centro Studi Anaci  

seguici su twitter:@MAUROMGSAS


venerdì 22 marzo 2013

PARCHEGGI


Cassazione Civile, 16.01.2013, n. 943: La violazione dell'obbligo imposto dal Comune di costruire parcheggi in misura superiore alla Legge non genera diritti a favore di terzi
Nel caso in cui il provvedimento concessorio del Comune obbligasse il costruttore a realizzare spazi destinati a parcheggio in misura superiore al limite previsto dalla Legge 17 agosto 1942, n. 1150, all'articolo 41-sexies (un metro quadrato per ogni 10 metri cubi di costruzione), la violazione di tale obbligo concerne i rapporti tra il costruttore e la Pubblica Amministrazione, e non genera diritti a favore di terzi quali, ad esempio, possono essere i condomini acquirenti.

Scritto da Edoardo Riccio Centro Studi Anaci 

seguici su twitter:@MAUROMGSAS



giovedì 21 marzo 2013

IVA DEL 10% PER LA MANUTENZIONE OBBLIGATORIA DEGLI IMPIANTI ELEVATORI E DI RISCALDAMENTO


Importante precisazione da parte della Agenzia delle Entrate: Risoluzione N.15/E

L' Agenzia delle Entrate con la risposta al quesito, coglie l' occasione per precisare le problematiche nate su un argomento da molti ritenuto "pacifico" ossia l'assoggettabilità con l'aliquota IVA ridotta del 10% per le prestazioni di manutenzione obbligatoria degli impianti Elevatori di Riscaldamento, consistenti nelle verifiche periodiche finalizzate al ripristino della funzionalità ordinaria anche con impiego di ricambi a condizione che i fabbricati in questione siano a prevalente destinazione abitativa. Si noti bene che occorre fare riferimento al costo puro dell'intervento manutentivo prestato anche a seguito di un contratto annuale di assistenza, quindi sono escluse quelle spese di natura diversa, (es. la quota riferita alla copertura assicurativa RC) che, a scanso di equivoci, dovrà risultare da un distinto corrispettivo.
La precisazione riconosce la facoltà da parte degli utenti/beneficiari della prestazione di richiedere ai fornitori del servizio la restituzione della parte di IVA pagata in eccesso per la quale costoro, provando formalmente l' avvenuta corresponsione, potranno richiedere il rimborso all'ufficio tributario nel termine di due anni. Non è previsto il recupero dell' IVA rimborsata mediante il meccanismo della variazione previsto dall' art. 26 della legge IVA (nota di credito).

Scritto da Francesco Burrelli  Centro Studi Anaci

seguici su twitter:@MAUROMGSAS



mercoledì 20 marzo 2013

CANNA FUMARIA ED USO PARTI COMUNI


La sentenza n. 945 del 16.01.2013 emessa dalla Suprema Corte di Cassazione (Sezione II, presidente dott. Triola Roberto Michele, relatore dott. Petitti Stefano) tratta l’impugnativa di una delibera condominiale nella quale l’assemblea approvava l’utilizzo del vano pattumiera – corrispondente ad un alloggio – per allocarvi il contatore e l’eventuale caldaia del gas. Il giudice di terzo grado ritiene tale delibera, assunta con la maggioranza di cui all’art. 1136, 2° comma, c.c. lecita in quanto l’opera non rientra nel regime delle innovazioni.
L’analisi svolta dai giudici di legittimità parte dalla circostanza che la canna pattumiera era stata sigillata, non veniva più utilizzata da anni ed aveva perso la sua originaria destinazione; tale mutamento viene così spiegato: “Rientra dunque nei poteri dell’assemblea quello di disciplinare beni e servizi comuni, al fine della migliore e più razionale utilizzazione, anche quando la sistemazione più funzionale del servizio comporta la dismissione o il trasferimento di tali beni.
L’assemblea con deliberazione a maggioranza ha quindi il potere di modificare, sostituire o eventualmente sopprimere un servizio anche laddove esso sia istituito e disciplinato dal regolamento condominiale se rimane nei limiti della disciplina delle modalità di svolgimento e quindi non incida sui diritti dei singoli condomini”.
Posto quanto sopra l’utilizzo del vano pattumiera non costituisce innovazione in quanto non muta la destinazione del bene comune occupato e rispetta i principi stabiliti dall’art. 1102, 1° comma, c.c.: Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purchè non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto”; la suprema Corte afferma pertanto il seguente principio di diritto: “Occorre in proposito premettere che nella giurisprudenza di questa Corte si è chiarito che costituisce innovazione ex art. 1120 cod. civ., non qualsiasi modificazione della cosa comune, ma solamente quella che alteri l'entità materiale del bene operandone la trasformazione, ovvero determini la trasformazione della sua destinazione, nel senso che detto bene presenti, a seguito delle opere eseguite una diversa consistenza materiale ovvero sia utilizzato per fini diversi da quelli precedenti l'esecuzione della opere.
Ove invece, la modificazione della cosa comune non assuma tale rilievo, ma risponda allo scopo di un uso del bene più intenso e proficuo, si versa nell'ambito dell'art. 1102 cod. civ., che pur dettato in materia di comunione in generale, è applicabile in materia di condominio degli edifici per il richiamo contenuto nell'art. 1139 cod. civ (Cass. n. 240 del 1997; Cass. n. 2940 del 1963).
In sostanza, perchè possa aversi innovazione è necessaria l'esecuzione di opere che, incidendo sull'essenza della cosa comune, ne alterino l'originaria funzione e destinazione. Inoltre, proprio perchè oggetto di una delibera assembleare, l'esecuzione di opere, per integrare una innovazione, deve essere rivolta a consentire una diversa utilizzazione delle cose comuni da parte di tutti i condomini”.
I principi qui affermati non subiscono mutamenti a seguito della “riforma del condominio” (L. 220/2012 che entrerà in vigore il 18.06.2013) anche se, in materia di opere svolte nelle parti private, è opportuno richiamare la nuova formulazione dell’art. 1122 c.c.: “Nell'unità immobiliare di sua proprietà ovvero nelle parti normalmente destinate all'uso comune, che siano state attribuite in proprietà esclusiva o destinate all'uso individuale, il condomino non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni ovvero determinino un pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell'edificio.
In ogni caso è data preventiva notizia all'amministratore che ne riferisce all'assemblea”.
Con il primo comma si tutela il condominio vietando al singolo di compiere (nella sua proprietà, nelle parti normalmente destinate all’uso comune ed in quelle che gli siano state attribuite in proprietà esclusiva) opere che rechino danno alle parti comuni che determinino un pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell’edificio. Così facendo si recepisce la giurisprudenza prevalente che già faceva discendere tali divieti anche dal precedente testo legislativo.
Il secondo comma è di più difficile interpretazione in quanto non è chiaro se la preventiva notizia all’amministratore debba essere data per tutte le opere di cui al comma 1 (quindi anche quelle nelle parti private !!!) o se invece imponga tale incombenza nel caso di opere che coinvolgono direttamente o indirettamente le parti comuni e che potrebbero rientrare nei casi di cui sopra. In attesa delle prime pronunce giurisprudenziali, personalmente, ritengo che la seconda ipotesi sia quella più ragionevole.

Scritto da Matteo Peroni Centro Studi Anaci

seguici su twitter:@MAUROMGSAS


martedì 19 marzo 2013

APPALTO : LA RESPONSABILITA’ DEL CONDOMINIO NEI DANNI CAGIONATI DALL’ESECUZIONE DELLE OPERE


Vige la corresponsabilità dell’appaltatore con il condominio committente?
La pronuncia n. 2362/2012 della Corte di Cassazione in materia di appalto, tratta la vexata questio della corresponsabilità del condominio committente con l’appaltatore per i danni cagionati a terzi, - includendo nella dizione terzi i condomini per quanto attengono le proprietà esclusive, - ed in precipuo si riferisce ad un caso in cui, nel corso di lavori di rifacimento dell’impermeabilizzazione del terrazzo di copertura appaltati dal Condominio, ed eseguiti senza l’ausilio delle cautele idonee ad evitare le infiltrazioni per i preventivabili rovesci meteorologici (installazione di un telo impermeabile), gli appartamenti sottostanti sono stati irreversibilmente inondati.
La questione prende le mosse da una sentenza emessa dal Tribunale adito di Santa Maria Capua Vetere, che rigettava la domanda di condanna del Condominio convenuto, condannando l’appaltatore (terzo chiamato dal Condominio) al risarcimento danni subiti dai condomini attori. La Corte d’Appello di Napoli, a riforma della pronuncia del giudice di prime cure, riteneva corresponsabile nella causazione dell’evento nella misura concorrente del 25 % il Condominio, poiché “essendo prevista nell’opera la rimozione dello strato di impermeabilizzazione, aveva concretizzato grave imprudenza per il condominio l’avere disposto l’esecuzione delle opere nel periodo autunnale, notoriamente piovoso, pari imprudenza per l’appaltatore nell’avere accettato di procedere all’esecuzione, tenendo un comportamento negligente nell’omettere l’adozione di qualsivoglia opera precauzionale”.
Nel caso di specie, la Suprema Corte ha valutato in primis la clausola contrattuale che poneva espressamente a carico dell’appaltatore tutti i danni conseguenti dalla esecuzione di opere a condomini o a terzi, sia cose che a persone, e ritenutala espressamente vincolante per i soli contraenti e non per i terzi, - in guisa tale da immobilizzare e limitare l’azione giudiziale verso una parte contraente per la pretesa occasionata dal fatto illecito radicato dalla esecuzione del contratto ( art 1372 c.c., Cass. n. 1980/5496), - ha ritenuto approfondire il tema della responsabilità dell’appaltatore. Coerentemente, menzionando a sostegno del proprio assunto la sentenza Cass. n. 4361/2005, la Corte rileva che l’appaltatore che a proprio rischio e con propria organizzazione di mezzi e curando le modalità esecutive, esegue l’opus perfectum in piena autonomia è, in generale, responsabile dei danni derivanti a terzi nella o dalla esecuzione dell’opera (Cass. n. 1371/2006).
In tale ottica prosegue respingendo le argomentazioni della Corte di Appello in ordine alla previsione contrattuale di esecuzione delle opere nel periodo autunnale notoriamente piovoso, in forza delle eccezioni al principio generale di responsabilità. Le eccezioni pregnanti radicano la decisione degli ermellini di considerare il condominio committente quale corresponsabile in via diretta con l’appaltatore per i danni cagionati a terzi,( tra le tante citate Cass. n. 2003/7273, Cass. n. 2004/7499, Cass. n. 2004/11478) ogni qualvolta si ravvisano le seguenti eccezioni:
• violazioni a carico del committente del principio del neminem laedere riconducibili all’ art. 2043 c.c. ( ad esempio, tralasciare la sorveglianza nell’esecuzione dell’opera);
• l’evento dannoso sia addebitabile al Condominio per culpa in eligendo determinata nell’aver scelto impresa che difettava delle necessarie capacità tecniche organizzative;
• l’appaltatore in forza dei patti contrattuali o nel concreto svolgimento del contratto, è stato un nudus minister, indi esecutore di ordini del committente e privato della sua autonomia;
• quando il committente si è ingerito con singole e specifiche direttive nelle modalità di esecuzione del contratto o abbia concordato con l’appaltatore singole fasi o modalità esecutive dell’appalto.
La riforma in materia condominiale innovante dal 18 giugno 2013, non tocca i fondamenti della rassegnata pronuncia, che oggetto di dettagliate tutele offerte dalla legislazione vigente.

Scritto da Laura Marchetti Centro Studi Anaci


seguici su twitter:@MAUROMGSAS




lunedì 18 marzo 2013

CAMBIO DI CLASSE ENERGETICA E MERCATO IMMOBILIARE


Il valore di un immobile sul mercato è legato a vari fattori che possono incrementarlo o decrementarlo in maniera non indifferente: partendo dal generale, possiamo identificare parti fondamentali l’area in cui sorge, il contesto sociale nel quale è inserito, la vicinanza o meno dei mezzi di trasporto; scendendo poi nel particolare, vanno presi in considerazione l’orientamento dell’edificio, il panorama, la luminosità, il livello delle finiture interne, la presenza o meno dell’ascensore. Tutti questi fattori incidono indubbiamente sul valore economico dell’immobile. Da qualche anno si è aggiunto anche un altro fattore relativo all’efficienza energetica: la classe energetica di appartenenza, cioè i livelli di consumo di energia calcolati nell’arco dell’anno.
La classe (che va dalla G, la più comune e la meno efficiente, fino alla A+, il top quality) risulta inserita tra i requisiti che danno valore di mercato ad un immobile, ma una recente indagine dell’ENEA ha dimostrato che non incide in maniera rilevante. Infatti l’attuale sistema, basato su una vera e propria etichettatura del manufatto, al pari degli elettrodomestici, non sembra in grado di garantire al compratore medio, informazioni dettagliate per una valutazione effettiva degli impatti economici delle prestazioni energetiche nel lungo termine. Attualmente la qualità energetica fa la differenza soltanto per le classi energetiche elevate o in caso di ristrutturazioni di edifici particolarmente degradati in zone periferiche.
Il prezzo di mercato risulta certamente più alto per un immobile energeticamente efficiente, ma il risparmio effettivo (calcolato appunto sul prezzo di mercato), che varia sulla base della località in cui sorge, sulla base di audit energetici legati alla zona climatica e ad altri fattori variabili nel tempo, diventa reale, sempre secondo l’indagine citata, soltanto nell’arco di almeno vent’anni. Un arco temporale non indifferente che sta frenando il mercato immobiliare dal renderlo fattore rilevante.

Fonte Agire – Agenzia Giornalistica Real Estate


seguici su twitter:@MAUROMGSAS


sabato 16 marzo 2013

SOTTOTETTO, PARTE PRIVATA O COMUNE?


In materia di sottotetto, la sentenza n. 20206 del 16.11.2012, emessa dalla seconda sezione della suprema Corte di Cassazione (presidente: dott. Roberto Triola, relatore: dott.ssa Maria Rosaria San Giorgio) ha confermato la sentenza impugnata, emessa dalla Corte d’Appello di Bologna. 
La vertenza era stata promossa da un condomino contro il proprietario dell’ultimo piano reo, a suo dire, di essersi appropriato della parte di sottotetto corrispondente alla propria porzione di piano, eseguendovi delle opere e destinandolo a civile abitazione. Sulla base di tali premesse l’attore chiedeva che fosse accertata l’appartenenza al condominio del sottotetto. 
Sia in primo che in secondo grado tale domanda veniva rigettata in quanto il vano sottotetto, per le sue condizioni strutturali (assenza di aperture che dessero aria e luce, altezza media pari a circa un metro, accesso difficoltoso, pavimentazione grezza ed assenza di uno stabile collegamento della botola al pianerottolo), assolveva esclusivamente alla funzione di isolare e proteggere dal freddo, dal caldo e dall’umidità l’appartamento sottostante. In costanza di tali connotazioni ed in assenza di elementi che rivelino la “concreta” possibilità da parte della collettività condominiale di usare del sottotetto, la dominante giurisprudenza esclude che il medesimo sia configurabile come parte comune.
Tale corrente di pensiero è stata recepita dalla riforma con la nuova formulazione dell’art. 1117 c.c.: 
Sono oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari dell'edificio, anche se aventi diritto a godimento periodico e se non risulta il contrario dal titolo … i sottotetti destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all'uso comune”. La riforma non modifica il riferimento al titolo d’acquisto: l’atto pilota, con cui si costituisce il condominio, può quindi prevedere espressamente una diversa proprietà del sottotetto.

Scritto da Matteo Peroni

seguici su twitter:@MAUROMGSAS

venerdì 15 marzo 2013

SPESE CONDOMINIALI – SUBENTRO: Cassazione Civile, 23.01.2013, n. 1548: In caso di subentro l'acquirente è solidalmente tenuto al pagamento per il biennio indipendentemente dagli accordi stabiliti nel contratto di vendita


In materia di condominio, l'articolo 63 delle disposizioni di attuazione prevede la solidarietà tra il precedente condomino ed il subentrante per l'anno in corso e l'anno precedente. Nei confronti del condominio l'acquirente è pertanto responsabile per le spese del biennio anteriore al suo acquisto, cosicché il condominio può limitarsi ad agire contro di lui semplicemente dimostrando qual è l'importo dovuto per le spese di questo periodo. Sarà nell'eventuale giudizio di rivalsa che venditore e acquirente dovranno chiarire, in relazione ai loro accordi contrattuali, chi debba restare onerato dal pagamento.

Scritto da Edoardo Riccio

seguici su twitter:@MAUROMGSAS

Cassazione Civile, 16.01.2013, n. 946: E' parte comune l'intercapedine tra pilastri delle fondazioni ed il terreno adiacente


Salvo che il titolo contrattuale non disponga diversamente, devono considerarsi beni comuni anche tutti quelli assimilabili alle parti espressamente indicate nella richiamata disposizione codicistica di cui all'articolo 1117 codice civile, in relazione alla destinazione al comune godimento o al servizio della proprietà esclusiva. Deve pertanto ritenersi comune l'intercapedine tra pilastri e terreno adiacente, quando essa non ha alcuna autonomia funzionale o strutturale rispetto alle fondazioni stesse.

Scritto da Edoardo Riccio

seguici su twitter:@MAUROMGSAS

mercoledì 13 marzo 2013

Cassazione Civile, 24.01.013, n. 1748: Il regolamento contrattuale può dare del concetto di decoro architettonico una definizione più rigorosa di quella accolta dall'art. 1120 cod. civ.


In materia di condominio di edifici, l'autonomia privata consente alle parti di stipulare convenzioni che pongano limitazioni, nell'interesse comune, ai diritti dei condomini, sia relativamente alle parti comuni, sia riguardo al contenuto del diritto dominicale sulle parti di loro esclusiva proprietà, senza che rilevi che l'esercizio del diritto individuale su di esse si rifletta o meno sulle strutture o sulle parti comuni.
Ne discende che legittimamente le norme di un regolamento di condominio - aventi natura contrattuale, in quanto predisposte dall'unico originario proprietario dell'edificio ed accettate con i singoli atti di acquisto dai condomini ovvero adottate in sede assembleare con il consenso unanime di tutti i condomini - possono derogare od integrare la disciplina legale ed in particolare possono dare del concetto di decoro architettonico una definizione più rigorosa di quella accolta dall'art. 1120 cod. civ., estendendo il divieto di immutazione sino ad imporre la conservazione degli elementi attinenti alla simmetria, all'estetica, all'aspetto generale dell'edificio, quali esistenti nel momento della sua costruzione od in quello della manifestazione negoziale successiva.

Scritto da Edoardo Riccio

seguici su twitter:@MAUROMGSAS



lunedì 11 marzo 2013

CONTO CORRENTE PRIMA E DOPO LA RIFORMA


CASS. 10 MAGGIO 2012 N. 7162
La controversia trae origine da un decreto ingiuntivo ottenuto da una banca contro un condominio per il recupero dell’importo a saldo negativo del conto corrente. Accolta l’opposizione in primo grado, la corte d’appello, investita della controversia in secondo grado, ha confermato il decreto opposto. Il condominio, nel terzo grado di giudizio, ha sostenuto - poi si noterà a torto - che l’amministratore non era stato autorizzato all’apertura del conto corrente bancario, specificatamente non era stata autorizzata l’apertura di una linea di credito bancaria. Grazie alla pronuncia degli ermellini, oggi, si cristallizza in capo all’amministratore condominiale, il potere di aprire senza autorizzazione assembleare un conto corrente condominiale ove far affluire i contributi condominiali versati per le spese comuni, in forza dell’ampia autonomia amministrativa sancita dall’art 1130 1 comma n. 3 c.c., oltreché nella trasparenza amministrativa della gestione condominiale; certo che una specifica autorizzazione assembleare è richiesta in tutti i casi di apertura di una linea di credito, come dottrina eminente insegna (A. Scarpa, De Tilla).
Se attualmente l’amministratore ha il potere di aprire il conto corrente, con la vigenza della riforma avrà il DOVERE. In tal senso, il testo approvato ed in vigore dal 18 giugno 2013, dispone all’art 1129 comma 7 c.c., che “l’amministratore è obbligato a far transitare le somme ricevute a qualunque titolo dai condomini o da terzi, nonché quelle a qualsiasi titolo erogate per conto del condominio su specifico conto corrente, postale o bancario intestato al condominio”. Al fine di rendere conto della entità della gravità della violazione commessa, il legislatore sanziona la inottemperanza a quanto disposto ( leggasi alla mancata apertura del conto corrente condominiale) con la revoca. I condomini, anche singolarmente, possono chiedere la convocazione dell’assemblea per far cessare la violazione e revocare il mandato. In caso di mancata revoca da parte dell’assemblea, ciascun condomino può rivolgersi all’autorità giudiziaria deliberata dai condomini In sede assembleare. 
Scritto da Laura Marchetti

seguici su twitter:@MAUROMGSAS


CONDOMINIO: Cassazione Civile, 24.01.013, n. 1748: La normativa in materia di edilizia economica popolare cessa di trovare applicazione con il venir meno dello status di assegnatario


In materia di condominio e di edilizia economica popolare vi è alternatività, e non già coesistenza, del regime giuridico recato dalla normativa speciale di cui al Regio Decreto 28 aprile 1938 n. 1165 (approvazione del testo unico delle disposizioni sull'edilizia popolare ed economica) con quello condominiale di cui alle norme del codice civile, fondandosi soltanto il primo sulla persistenza dello status di assegnatario che viene meno con l'acquisto della proprietà, a seguito della stipula del mutuo individuale.

Scritto da Edoardo Riccio

seguici su twitter:@MAUROMGSAS

venerdì 8 marzo 2013

Cassazione Civile, 24.01.013, n. 1748: La normativa in materia di edilizia economica popolare cessa di trovare applicazione con il venir meno dello status di assegnatario


In materia di condominio e di edilizia economica popolare vi è alternatività, e non già coesistenza, del regime giuridico recato dalla normativa speciale di cui al Regio Decreto 28 aprile 1938 n. 1165 (approvazione del testo unico delle disposizioni sull'edilizia popolare ed economica) con quello condominiale di cui alle norme del codice civile, fondandosi soltanto il primo sulla persistenza dello status di assegnatario che viene meno con l'acquisto della proprietà, a seguito della stipula del mutuo individuale.

Scritto da Edoardo Riccio

seguici su twitter:@MAUROMGSAS


giovedì 7 marzo 2013

Cassazione Civile, 08.01.2013, n. 253: Sono escluse dall'obbligo di rimborso in caso di trascuratezza da parte degli altri comproprietari le spese per il godimento


La ratio dell'articolo 1110 c.c. eccezionalmente consente la ripetibilità delle spese  sostenute dal singolo partecipante alla comunione, in caso di trascuranza degli altri, limitatamente a quelle necessarie alla conservazione della cosa, ossia al mantenimento della sua integrità, in modo che duri a lungo senza deteriorarsi. Ne restano quindi esclusi gli oneri occorrenti soltanto per la sua migliore fruizione, come l'illuminazione di un immobile, o per l'adempimento di obblighi fiscali, come l'accatastamento.

Scritto da Edoardo Riccio

seguici su twitter:@MAUROMGSAS


Cassazione Civile, 08.01.2013, n. 253: Il comunista ha diritto al rimborso delle anticipazioni in caso di delibera o di trascuratezza da parte degli altri comproprietari


In materia di comunione, in caso di opere effettuate da un comunista senza un incarico da parte degli altri comproprietari, nessun indennizzo può essere riconosciuto, in mancanza sia di una previa deliberazione dell'assemblea dei comunisti, sia dei requisiti della necessità e della trascuranza, richiesti dall'art. 1110 c.c.. (Nel caso di specie un comproprietario aveva effettuato lavori di finitura della facciata del fabbricato ed aveva provveduto al suo accatastamento)

Scritto da Edoardo Riccio

seguici su twitter:@MAUROMGSAS


mercoledì 6 marzo 2013

APPALTO:Cassazione Civile, 08.01.2013, n. 258: E' nullo il contratto di appalto per eseguire opere abusive e la nullità può essere rilevata d'ufficio quando l'appaltatore chiede il pagamento


E' nullo per illiceità dell'oggetto il contratto di appalto per l'esecuzione di opere abusive. In materia di rilevazione della predetta nullità, l'art. 1421 cod. civ. conferisce al giudice il potere dovere di rilevarla d'ufficio, coordinandola con il principio della domanda ed il principio dispositivo.
Sotto il primo profilo, la nullità è correttamente rilevata a fronte della domanda dell'appaltatore diretta ad ottenere l'esecuzione da parte dei committenti della loro obbligazione di pagamento del prezzo delle opere eseguite. Infatti nel caso in cui la parte chieda l'adempimento, la validità del contratto rappresenta un elemento costitutivo della domanda.

Scritto da Edoardo Riccio

seguici su twitter: @MAUROMGSAS

martedì 5 marzo 2013

MILLESIMI… MA DAVVERO UNANIMITA’?


Le modifiche introdotte dalla legge 220/2012 alla disciplina codicistica del Condominio  hanno introdotto l’infausto termine “unanimità” nel nuovo testo dell’art. 69 disp. att. cod.civ. che oggi recita “i valori proporzionali delle singole unità immobiliari espressi nella tabella millesimale di cui all’art. 68 possono essere rettificati o modificati all’unanimità. Possono essere rettificati, anche nell’interesse di un solo condomino, con la maggioranza prevista dall’art. 1136 cod.civ. nei seguenti casi”m richiamando poi le due categorie, già note, dell’errore o dei mutamenti.
Nulla dice il legislatore sulle modalità di approvazione, limitandosi a introdurre il  vituperato termine – finalmente superato da CAss. SS.UU 18477/2010 – solo in riferimento alla rettifica o modifica che non siano dovute ad errore o mutamenti dell’assetto delle diverse proprietà.
Sulla base di tale assunto molti commentatori, anche assai autorevoli (Scarpa e Celeste), hannodesunto che l’unanimità fosse necessaria anche per l’approvazione, nulla disponendo la norma e ritenendo che se è richiesta per le modifiche non dovute ai casi tipici, per identità di ratio deve applicarsi anche alla approvazione della tabella.
Il ragionamento non convince del tutto, pur dovendo prendere atto che la norma – come molte di questo testo – risente di una infelice formulazione.
L’assetto normativo in tema di tabelle non pare mutato in maniera tanto significativa, nei suoi capisaldi, da minare radicalmente i presupposti logici e giuridici che hanno ispirati le Sezioni Unite sopra riportate.
Sembra anzi che la natura di atto volto alla mera ripartizione delle spese all’interno del condominio, che non riveste alcuna connotazione di atto negoziale di accertamento, esca rafforzato dal sistema della nuova normativa che qualifica espressamente le tabelle – convenzionali o regolamentari che siano – strumento volto alla ripartizione delle spese, come espressamente si legge nell’ ultimo comma dell’art. 69 disp.att. cod.civ.
La stessa previsione che possano essere modificate a maggioranza in caso di errore o mutamento, induce a ritenere che la via– sussistendo discrasie rispetto alla corretta proporzionalità - per ricondurle alla loro natura originaria, ovvero la rispondenza ai criteri di cui agli artt. 1118 e 1123, passi per la delibera e non per la convenzione, così come appare sensato ritenere passi l’originaria approvazione.
Se la natura della tabella è consentire il riparto delle spese, come con ampiezza di argomentazioni ha ben evidenziato la Suprema Corte sopra richiamata, non si vede per quale ragione la loro approvazione – anche alla luce della riforma – non debba seguire il dettato dell’art. 1138 cod.civ. Certo rimane que termine unanimità, richiamata dal novellato art. 69 disp. att. cod.civ., a cui qualche senso il legislatore deve pur aver inteso dare.
Si può allora ritenere che il legislatore ci stia semplicemente dicendo che, ove si sia approvata una tabella con le modalità previste dall’art. 1138 cod.civ., con le stesse modalità si può modificare ove sussista un errore o un mutamento, mentre se ci si vuole discostare ad libitum dai parametri di legge – posto che si tratta di norma non inderogabile – è comunque richiesta una convenzione.
Repetita juvant, potremmo dire. O precisazione del tutto inutile perché già conseguenza dell’intero impianto normativo e interpretativo, come ha sottolineato autorevole dottrina (Triola). Non sembrerebbero ostare a questa lettura neanche gli ultimi due commi dell’art. 69 disp. att. che estendono la possibilità di revisione per errore o mutamento anche alle tabelle convenzionali (già pacificamente riconosciuta dalla giurisprudenza) e semplificano la vita all’attore che voglia vedere rettificate le tabelle errate o mutate quelle non più attuali – sia nel caso di tabelle convenzionali che regolamentari – attribuendo la legittimazione passiva in capo al solo amministratore.

Massimo Ginesi

seguici su twitter: @MAUROMGSAS

lunedì 4 marzo 2013

SCONTO IMU PER ABITAZIONI LOCATE CON REGOLARE CONTRATTO A MILANO

A Milano, il Comune concede un piccolo sconto sull’IMU per i proprietari di appartamenti locati con contratto regolarmente registrato. Questa riduzione è pari allo 0,96%, appena sotto l’1,06% previsto per gli immobili diversi dalle abitazioni principali. L’aliquota si riduce ulteriormente, 0.65%, per chi cede in locazione l’abitazione con un contratto a canone concordato. 
La possibilità di ottenere questo sconto è vincolata, tuttavia, ad una quanto mai solita trafila burocratica, con una serie di incombenze che vanno ad aggiungersi alla registrazione e relativo pagamento del contratto di affitto concluso a dicembre.
Lunedì 4 febbraio risultava l’ultimo giorno utile per l’invio al comune di una serie di documenti:
_ copia del contratto di locazione con dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà che ne attesti la conformità;
_ copia del modello F23 se si è pagata l'imposta di registro;
_ in caso di opzione per la cedolare secca copia modello Siria (o modello 69) o in mancanza, una dichiarazione sostitutiva dell’assolvimento degli obblighi fiscali (i modelli di dichiarazione sostitutiva sono scaricabili tra gli allegati dall'apposita sezione sul sito del Comune di Milano).
L’ufficio preposto per la consegna della documentazione è quello del Protocollo del Settore Finanze e Oneri Tributari, ma è possibile anche l’invio tramite fax al n. 02/88454002 o tramite posta tradizionale (raccomandata R/R) o posta certificata alla casella protocollo@postacert.comune.milano.it.


Fonte Agire – Agenzia Giornalistica Real Estate


seguici su twitter: @MAUROMGSAS

sabato 2 marzo 2013

TERMOREGOLATORI E SGRAVI FISCALI


L’ANACI Di Monza e Brianza, nella persona del suo Presidente, Renato Greca, appoggiato dal Consigliere regionale Valerio Bettoni, in occasione dell’attuale campagna elettorale propone (e promette) sgravi fiscali per tutti coloro che si impegneranno ad installare termoregolatori agli impianti termici. Questi interventi possono essere inglobati in tutte quelle iniziative di ammodernamento e ristrutturazione finalizzate al risparmio e all’efficientamento energetico.
L’installazione di valvole termostatiche in tutti i condomini, comporterà una riforma della normativa regionale in materia.

Fonte Agire – Agenzia Giornalistica Real Estate


seguici su twitter: @MAUROMGSAS

 


IMPIANTI CENTRALIZZATI, CONTROLLI GRATUITI NEI CONDOMINI


L’ANACI Lombardia (sede provinciale di Pavia), con il patrocinio della Regione, Provincia e Comune e in collaborazione con la società Domotecnica, si fa promotrice di una importante iniziativa a favore dei condomini con impianto centralizzato: avviare una campagna di diagnosi energetica gratuita degli immobili.
L’iniziativa vede coinvolti i tecnici della Domotecnica i quali compiono analisi e controlli sullo stato di efficienza degli impianti. Tali controlli vengono effettuati attraverso sopralluoghi mirati e preventivamente stabiliti dall’amministratore di condominio il quale è tenuto ad affiggere un cartello nel condominio (ben visibile da tutti i condomini, ma soltanto a questi) che riporti esattamente il giorno e l’ora delle verifiche; tra l’altro, egli stesso (o un suo incaricato), si impegna ad accompagnare i tecnici nei vari sopralluoghi, identificabili, questi ultimi, da un tesserino di riconoscimento.
Queste verifiche risultano quanto mai necessarie soprattutto per impianti centralizzati obsoleti o comunque costruiti prima del 1990, per i quali ben il 50% dell’energia acquistata per il riscaldamento, risulta disperdersi a causa delle scarse opere di isolamento degli stessi edifici.

Fonte Agire – Agenzia Giornalistica Real Estate

seguici su twitter: @MAUROMGSAS




AMMESSO L’INVIO AI CONDOMINI DEL VERBALE ASSEMBLEARE CONTENENTE DUBBI SULL’AMMINISTRATORE USCENTE: NON VI È VIOLAZIONE DELLA PRIVACY


L’invio a tutti i condomini del verbale assembleare contenente la dichiarazione con la quale si accusa l’amministratore di aver sottratto ingenti somme di denaro al condominio non deve essere considerato lesivo della privacy.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, III sezione, con sentenza del 23 gennaio 2013, n. 1593In seguito al ricorso presentato da taluni amministratori, che contestavano la sussistenza di “condotte lesive della loro privacy” – consistenti nella dichiarazione resa, in occasione di un’assemblea condominiale, da un condomino che si interrogava sull’operato degli amministratori chiedendo delucidazioni in merito alla destinazione di ingenti somme di denaro, e nel successivo invio del verbale ai condomini stessi – il Tribunale di Milano, con sentenza dell’11 novembre 2009, respingeva la domanda di risarcimento danni; della questione veniva investita la Suprema Corte.
La Cassazione ha ricordato che ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003 (c.d. Codice della Privacy), per “dato personale” deve essere inteso qualsivoglia informazione concernente persone fisiche, giuridiche, enti ed associazioni “identificati o identificabili” anche “indirettamente, mediante riferimento a qualsivoglia altra informazione”. In tale nozione devono farsi rientrare, senza alcun dubbio, i dati dei partecipanti al condominio raccolti ed impiegati per le finalità prevista dall’articolo 1117 cod. civ. Tuttavia, in ambito condominiale, le informazioni riguardanti il riparto delle spese, l’entità del contributo dovuto da ciascuno nonché la mora nel pagamento degli oneri pregressi possono essere “oggetto di trattamento anche senza il consenso dell’interessato”. La liceità del suddetto trattamento rinviene la propria ratio nella finalità perseguita dallo stesso.
Precisa la Corte, inoltre, che è fondamentale effettuare un bilanciamento tra contrapposti interessi, quali il diritto alla tutela della privacy e le esigenze di efficienza e funzionalità del condominio. Ne consegue che “le informazioni riportate nei prospetti contabili o come nella specie nei verbali assembleari debbono essere comunicati solamente agli aventi diritto alla relativa conoscenza, e cioè ai condomini”, e non anche a chi non ne abbia interesse.
Nel caso di specie l’amministratore si era limitato ad inviare copia della delibera assembleare ai singoli condomini “senza divulgare o elaborare differentemente il verbale e quanto ivi riportato”.
Per le suddette motivazioni la Cassazione ha rigettato il ricorso, condannando gli amministratori ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio.
Occorre ricordare che il tema analizzato è stato oggetto di una precedente pronuncia della Corte (Cass. Civ., 4 gennaio 2011, n. 186) la quale, in tale circostanza, aveva precisato che la disciplina del codice in materia di protezione dei dati personali, prescrivendo che il trattamento degli stessi avvenga nell'osservanza dei principi di proporzionalità, di pertinenza e di non eccedenza rispetto agli scopi per i quali i dati stessi sono raccolti, non consente che gli spazi condominiali, aperti all'accesso di terzi estranei al condominio, possano essere utilizzati per la comunicazione di dati personali riferibili al singolo condomino.

Daniela Sibilio Fonte Agire – Agenzia Giornalistica Real Estate

seguici su twitter: @MAUROMGSAS

venerdì 1 marzo 2013

AFFISSIONE DEL NOME DELL’INQUILINO MOROSO: CONDANNATO L’AMMINISTRATORE DI CONDOMINIO


La pubblicazione dei dati degli inquilini morosi, mediante affissione di un comunicato in uno spazio condominiale accessibile non già ai soli condomini ma ad un numero indeterminato di altri soggetti, integra il reato di diffamazione.
È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sezione V penale, con sentenza n. 4364/2013.
Il comunicato in questione - contenente l’elenco dei nominativi dei condomini che, in ritardo nel pagamento delle rispettive quote, sarebbero stati esclusi dalla fruizione di taluni servizi - era stato affisso nell’androne del palazzo. Successivamente, uno dei morosi denunciava l’amministratore per offesa alla reputazione, sottolineando l’evidente intendo di quel comunicato di “sottoporre a pubblica gogna” coloro che non avevano pagato le quote; posizione, quest’ultima, condivisa sia dal Giudice di Pace di Messina che dal Tribunale, con sentenza del 21 gennaio 2011.
La Suprema Corte, respingendo il ricorso dell’amministratore, ha ricordato che “integra il delitto di diffamazione il comunicato redatto all’esito di una assemblea condominiale, con il quale alcuni condomini sono indicati come morosi nel pagamento delle quote condominiali e vengono conseguentemente esclusi dalla fruizione di alcuni servizi” qualora la comunicazione sia pubblicata in un luogo accessibile anche a terzi.
Gli Ermellini sottolineano, inoltre, che se l’intento dell’amministratore fosse stato realmente quello di informare celermente gli interessati dell’imminente interruzione del servizio, mediante modalità comunicative potenzialmente percepibili da un indeterminato numero di soggetti, allora l’amministratore “avrebbe dovuto calibrare il contenuto dell’informazione a tale esigenza, evitando di menzionare anche l’identità dei condomini morosi”.
Per le suddette motivazioni è stata confermata la contestazione del reato di diffamazione, nonché la condanna nei confronti dell’amministratore.
La sezione V della Corte di Cassazione si era espressa nei medesimi termini in una precedente sentenza del 2009, in quell’ occasione precisando che “una notizia relativa alle vicende condominiali non può andare oltre il ristretto perimetro rappresentato dalla cerchia dei condomini ed, eventualmente, dei terzi che con il condominio sono in rapporti” (Cass. Penale, sez. V, 18 settembre 2007, n. 35543).
Cosicché, è possibile affermare che, nel caso analizzato, la diffusione delle informazioni sarebbe stata certamente scriminata qualora fosse rimasta confinata nell’ambito condominiale. Tuttavia, dal momento in cui il predetto comunicato è stato portato potenzialmente a conoscenza anche di soggetti nei cui riguardi non poteva avere alcun valore funzionale, non si può non riconoscere l’integrazione dell’elemento oggettivo del delitto di cui all’articolo 595 c.p., non sussistendo nessuna ragione socialmente valida a supporto del comportamento incriminato.

Daniela Sibilio Fonte Agire – Agenzia Giornalistica Real Estate

seguici su twitter: @MAUROMGSAS