È quanto ha stabilito il Consiglio di Stato con la
sentenza del 28 settembre 2012 n. 5128, quando il titolo
richiesto riguarda l’uso di un bene comune. I giudici di
Palazzo Spada hanno ritenuto irrilevante la circostanza che l’intervento servisse a migliorare l’illuminazione
dell’unità immobiliare dei richiedenti. La vicenda inizia con la richiesta di titolo edilizio
per la realizzazione di un abbaino al piano secondo
(sottotetto) dell’edificio condominiale, di pertinenza dell’appartamento di proprietà del ricorrente, al
fine di aumentare l’illuminazione del locale-soggiorno la cui finestra era parzialmente coperta dall’ala del tetto dell’edificio.
Motivazione del diniego
Il comune ha rigettato la domanda di titolo
abilitativo con la motivazione della mancanza del consenso scritto
del condominio, sul presupposto della natura di parte
comune del tetto interessato dall’opera e dell’utilizzo di
una parte della cubatura urbanistica residua dell’edificio condominiale, nonché della necessità di integrare la documentazione con una verifica analitica e grafica
sulla cubatura ammissibile sul lotto e di evidenziare,
nella parte planimetrica, le istanze dai confini e dagli
edifici.
Parte interessata dall’intervento
Nel caso in esame, l’opera in contestazione era
destinata a incidere sulla parte comune costituita dal tetto dell’edificio condominiale, non solo in senso materiale ma, eventualmente, anche sotto il profilo del decoro architettonico. L’opera deve qualificarsi come innovazione
voluttuaria – e non necessaria – per rendere più comodo il godimento dell’immobile.
La medesima, al contempo, deve ritenersi idonea ad imprimere alla cosa comune una destinazione anche ad uso esclusivo del suo appartamento.
Decoro architettonico
Le opinioni costanti della giurisprudenza civilistica
ed amministrativa risulta alquanto contrastanti e spesso ridimensionano il concetto di decoro architettonico.
Determinazione del Consiglio di Stato
Il Consiglio di Stato ha ritenuto che in sede di
rilascio del titolo abilitativo edilizio sussiste l’obbligo per il comune di verificare il rispetto da parte dell’istante dei
limiti privatistici, a condizione che tali limiti siano
effettivamente conosciuti o immediatamente conoscibili o non
contestati, di modo che il controllo da parte dell’ente locale si
traduca in una semplice presa d’atto dei limiti medesimi
senza necessità di procedere ad un esame accurato dei
rapporti civilistici preesistenti. In conclusione, il Consiglio di Stato si è
pronunciato in via definitiva sul ricorso proposta dai ricorrenti e lo
ha respinto per le motivazioni suesposte
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