Premesso che non esiste ancora un
orientamento giurisprudenziale univoco o comunque maggioritario, si condivide la tesi secondo cui il
verbale di conciliazione sia un atto affine a un negozio
transattivo qualificato; il nostro ordinamento, infatti, attribuisce al
verbale di conciliazione una efficacia esecutiva, seppure
condizionata all’omologazione giudiziale, che
invece la comune transazione, prevista dall’art. 1965
c.c., non possiede. Affinché sussista però l’impegno del
condominio, è necessario che l’amministratore,
oltre a ricevere l’autorizzazione a stare in
mediazione, ottenga da parte dell’assemblea di condominio anche l’approvazione
sul contenuto dell’accordo.
Da ciò discende che, solo dopo aver
ricevuto l’approvazione da parte dell’assemblea, l’amministratore potrà sottoscrivere il verbale di
conciliazione con effetti vincolanti per il condominio.
Secondo quanto statuito dalla
Suprema Corte a Sezioni Unite nella sentenza n. 4806 del 7 marzo 2005, la delibera assembleare dovrà seguire gli
ordinari criteri di maggioranza, ad eccezione del caso
in cui l’accordo abbia ad oggetto un atto dispositivo delle
parti comuni del condominio; in quest’ultima ipotesi,
infatti, l’accordo dovrà essere approvato dall’assemblea all’unanimità, a pena di nullità della delibera e
dell’accordo concluso in forza di essa.
Non pochi problemi sorgono quando la
delibera assembleare risulti viziata.
Ci si deve chiedere cosa accada nel
caso in cui la delibera sia nulla ossia quando abbia:
1)Un oggetto impossibile o illecito
2)Quando non è di competenza dell’assemblea
3) Quando incide sui diritti
individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva
di ciascuno dei condomini
4) Quando è invalida in relazione
all’oggetto. Orbene, in tutti i casi di nullità
della delibera seguirà la nullità anche del verbale di
conciliazione. Se, invece, la delibera è annullabile,
come nel caso in cui sia viziata nel quorum costitutivo o
deliberativo, o per esempio per la mancata convocazione
di uno o più condomini si potranno verificare due
possibilità:
a) l’annullamento dovrà essere
richiesto entro il termine di decadenza di trenta giorni (che decorrono dalla data della delibera per i dissenzienti e dalla
data di comunicazione per gli assenti) previsto dall’art.
1137 c.c.. La conseguenza è che, se non tempestivamente impugnata, la delibera dell’assemblea acquisterà efficacia definitiva
e di conseguenza il verbale di
conciliazione, nel frattempo sottoscritto dall’amministratore di
condominio sulla base
dell’autorizzazione scaturente dalla
delibera dell’assemblea viziata, ma sanata
per effetto della mancata opposizione, non sarà inficiato;
b) se l’impugnazione è stata
proposta, l’amministratore avrà il compito di decidere se dare
in ogni caso attuazione alla volontà del condominio,
sottoscrivendo il verbale di conciliazione e sopportando il rischio di
annullamento della delibera che l’abbia a tanto
autorizzato, oppure non firmarlo attendendo l’esito del
giudizio di opposizione (che sarà preceduto a sua volta dal
tentativo di conciliazione), esponendo così il
condominio, nel caso in cui quest’ultima venga respinta, ai
rischi di un accordo non concluso o, comunque, non
tempestivamente concluso.
In entrambi i casi la scelta che l’amministratore
di condominio è chiamato a fare non è
affatto agevole e potrebbe essere per lo stesso fonte
di responsabilità.
Opportuno sarebbe, pertanto, in tali
situazioni che, l’amministratore per cautelarsi,
rimetta la decisione all’assemblea del condominio.
Avv. Maria Teresa Del Luca www.studiolegali.it
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