L’installazione di apparecchiature
di videosorveglianza diventa, grazie alla riforma di Condominio, lecita a seguito di delibera assembleare. Le
telecamere potranno essere installate su decisione dell’assemblea,
con la maggioranza dei presenti e la metà del valore
dello stabile.
La riforma introduce nel codice
civile l’articolo 1122-ter dedicato agli impianti di
videosorveglianza sulle parti comuni. L’amministratore di condominio,
previa delibera assembleare, dovrà adottare tutte le
cautele previste dal provvedimento generale del Garante
della privacy in materia di videosorveglianza dell’8
aprile 2010.
Gli adempimenti risultano essere i
seguenti: cartello informativo, stabilire tempi minimi
di conservazione delle immagini (massimo 24 ore),
individuare il personale che può visionare le immagini con atto
di nomina di responsabile e incaricato del
trattamento, chiedere al garante la verifica preliminare nei
casi previsti dal provvedimento generale.
La mancata osservanza di tali
adempimenti comporta responsabilità amministrative e
penali, oltre che esporre a richieste di risarcimento da parte
di eventuali soggetti danneggiati.
Si è risolto in tal senso la lacuna
legislativa che la giurisprudenza non riusciva a
colmare in maniera univoca. In alcuni casi la giurisprudenza di
merito ha infatti escluso il potere condominiale di installare
impianti di videosorveglianza, ritenendolo un
comportamento violante il diritto alla riservatezza dei condomini. In altri, le sentenze intravedano la
lesione del diritto alla riservatezza a seguito dell’installazione
di apparecchiature che consentivano di osservare le
scale o i pianerottoli comuni. La questione risultava, nell’ultima
ipotesi, se
l’installazione dell’impianto di
videosorveglianza trovasse il proprio soggetto “Titolare del
trattamento” nell’assemblea dei condòmini, non
potendo l’assemblea perseguire quella che è la tipica
finalità di sicurezza del Titolare del trattamento che
provveda ad installare un impianto di videosorveglianza.
Una seppur limitata apertura è stata
fornita dalle sentenze che subordinavano l’installazione di
telecamere condominiali all’unanimità dei
consensi. Il tribunale di Varese afferma in maniera efficace
che il condominio è luogo di vita ed in tal senso i
condòmini non possono sopportare (salvo consenso),
ingerenze nella loro riservatezza, pacifico il fatto che
la videosorveglianza possa essere sostituita da altri
sistemi di protezione.
La giurisprudenza penale ha invece
affrontato la punibilità ai sensi del reato di interferenze
illecite, affrontando il caso del singolo condomino che in assenza
di preventiva delibera assembleare installasse a
uso della propria sicurezza un impianto con fascio di
captazione di immagini che si riversasse su aree
comuni o anche su luoghi di proprietà di altri
condòmini.
Continua la Cassazione “La ripresa
con una telecamera delle parti comuni non può pertanto
in alcun modo ritenersi indebitamente invasiva
della sfera privata dei condòmini, poiché l’esposizione alla
vista di terzi di un’area che costituisce pertinenza
domiciliare e che non è destinata a manifestazioni di vita
privata esclusive è incompatibile con una tutela penale
della riservatezza, anche ove risultasse che
manifestazioni di vita privata in quell’area siano state in concreto,
inaspettatamente, realizzate e perciò riprese”.
La confusione giurisprudenziale
aveva già portato il Garante della Privacy a impartire le
prime prescrizioni nel lontano 2000, riprese in seguito nel
2004 e nel 2010, in modo da dettare regole chiare e
fornendo una distinzione tra riprese in ambito pubblico e
privato
1) in merito all’installazione di
telecamere ad iniziativa di singoli condòmini all’interno di
edifici in condominio e loro pertinenze, il
Garante ha precisato che l’impiego di tali sistemi, pur non rientrando nell’ambito di
applicazione delle disposizioni del Codice, a meno che
i dati siano comunicati sistematicamente o
diffusi, richiede comunque l’adozione di cautele a
tutela dei terzi
2) Il Garante ha richiesto la valutazione di proporzionalità, da effettuare in
rapporto ad altre misure già adottate o che è
possibile adottare (come sistemi comuni di allarme o
protezione rinforzata di porte, portoni, cancelli
automatici).
3) Strumenti di videosorveglianza
quali i videocitofoni non sono soggetti alla disciplina
del Codice qualora i dati non siamo comunicati o diffusi.
Al fine di evitare di incorrere nel reato di
interferenza illecita nella vita privata, l’angolo delle
riprese deve comunque essere limitato ai soli
spazi di propria pertinenza
Donatella Chiomento http://mediazione.studilegali.it/
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