In materia di sottotetto, la
sentenza n. 20206 del 16.11.2012, emessa dalla seconda sezione della suprema Corte di Cassazione
(presidente: dott. Roberto Triola, relatore: dott.ssa Maria Rosaria San Giorgio) ha confermato la sentenza
impugnata, emessa dalla Corte d’Appello di Bologna.
La vertenza era stata promossa da un
condomino contro il proprietario dell’ultimo piano reo, a suo dire, di essersi appropriato della
parte di sottotetto corrispondente alla propria porzione di piano, eseguendovi delle opere e
destinandolo a civile abitazione. Sulla base di tali premesse l’attore chiedeva che fosse accertata
l’appartenenza al condominio del sottotetto.
Sia in primo che in secondo grado
tale domanda veniva rigettata in quanto il vano sottotetto, per le sue condizioni strutturali (assenza
di aperture che dessero aria e luce, altezza media pari a circa un metro, accesso difficoltoso,
pavimentazione grezza ed assenza di uno stabile collegamento della botola al pianerottolo), assolveva
esclusivamente alla funzione di isolare e proteggere dal freddo, dal caldo e dall’umidità
l’appartamento sottostante. In costanza di tali connotazioni ed in assenza di elementi che rivelino la “concreta”
possibilità da parte della collettività condominiale di usare del sottotetto, la dominante
giurisprudenza esclude che il medesimo sia configurabile come parte comune.
Tale corrente di pensiero è stata
recepita dalla riforma con la nuova formulazione dell’art. 1117 c.c.:
“Sono oggetto di proprietà comune
dei proprietari delle singole unità immobiliari dell'edificio, anche se aventi diritto a godimento
periodico e se non risulta il contrario dal titolo … i sottotetti destinati, per le caratteristiche
strutturali e funzionali, all'uso comune”. La riforma non modifica il riferimento al titolo d’acquisto:
l’atto pilota, con cui si costituisce il condominio, può quindi prevedere espressamente una diversa
proprietà del sottotetto.
Scritto da Matteo Peroni
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