La precedente versione della norma, rubricata «Opere
sulle parti dell’edificio di proprietà comune» attribuiva a ciascun condòmino la facoltà di eseguire,
all’interno della porzione di piano di sua proprietà, tutte le
opere di riparazione, miglioria o trasformazione che gli
convenissero, comprese quelle finalizzate al mutamento
della destinazione d’uso, purché non recassero nocumento alle parti comuni dell’edificio. Nel rispetto di tale
limite, le opere potevano eseguirsi senza che il condòmino
necessitasse di preventiva autorizzazione dell’assemblea.
Il novellato art. 1122 c.c., ora
rubricato «Opere su parti di proprietà o uso individuale», ribadendo il principio riportato dalla precedente formulazione, ne
amplia considerevolmente i contenuti e la
portata: lo spazio fisico entro il quale si collocano i lavori
non è più circoscritto al piano o alla porzione di piano di
proprietà esclusiva (ovvero le singole unità, es.
appartamenti, uffici, negozi ecc.) ma si allarga fino a
ricomprendere le parti normalmente destinate all’uso comune
che siano state attribuite al condòmino in proprietà
esclusiva o destinate all’uso individuale. Sotto altro
profilo, il disposto testuale della rinnovata norma riprende i
divieti, riferiti ai possibili pregiudizi arrecabili all’edificio, contemplati, in materia di innovazioni, nel comma 2 dell’art.
1120 c.c. Ad essere vietate sono le opere dalle quali
derivi danno alle parti comuni ovvero pregiudizio alla
stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell’edificio.
Infine, ed è questa la parte più innovativa della
disciplina, si pone a carico del condòmino che abbia interesse ad intraprendere i lavori un onere di preventiva informativa all’amministratore,
il quale deve a sua volta riferirne all’assemblea.
Tuttavia non è prevista alcuna autorizzazione o approvazione da parte dell’organo assembleare, trattandosi
pur sempre di opere eseguite su parti esclusive (per
proprietà o per diritto d’uso) del condominio. È
interessante osservare, da ultimo, come nella versione della
riforma originariamente approvata dal Senato, l’art. 1222
contemplava un nuovo terzo comma volto a prevedere la
possibilità da parte dell’amministratore di rivolgersi,
previa diffida, all’autorità giudiziaria, qualora mancassero dettagliate informazioni sul contenuto
specifico e sulle modalità di esecuzione delle opere
da intraprendersi. Rispetto al testo licenziamento dalla
Senato, la Camera
ha però espunto detta previsione,
ritenuta eccessiva per il gravoso onere posto a carico dell’amministratore
e per il grado di invasività nella sfera
individuale dei singoli condomini.
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